In poco più di vent’anni il volume degli scambi commerciali mondiali è cresciuto sensibilmente. Tutti i Paesi ne sono stati interessati, sia quelli ad alto e medio reddito che quelli a reddito medio e basso. In particolare, tra il 1995 e il 2018, il commercio internazionale agroalimentare è raddoppiato. Nel 2018 – dice la Fao nel rapporto La situazione dei mercati dei prodotti agricoli di base – ha toccato un valore pari a 1500 miliardi di dollari.
L’export dei Paesi emergenti e in via di sviluppo costituisce un terzo di questo volume di scambi. Quelli a reddito intermedio o medio-alto hanno invece visto aumentare la loro partecipazione all’export mondiale dal 25% al 36% nel 2018. Tuttavia il tasso di crescita ha subito uno shock con la crisi finanziaria del 2008 e un effetto negativo si prevede dall’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di CoVid-19. Ci si aspetta, infatti, che la pandemia pregiudichi il potenziale della catena globale di valore (che si forma quando uno scambio commerciale interessa almeno tre Paesi). Tuttavia proprio il commercio può essere un rimedio alle conseguenze della pandemia, “per gestire meglio i rischi che derivano e aumentare la resilienza”, si legge nel report della Fao.
Lo sviluppo tecnologico favorisce il commercio globale
Il commercio internazionale genera benefici nel breve e nel lungo termine. Stimola la crescita economica, lo sviluppo sostenibile e favorisce l’inclusione di agricoltori e produttori che vedono aumentare il loro reddito. Dal rafforzamento dei mercati agroalimentari può derivare anche un contributo alla promozione dello sviluppo sostenibile, ad esempio mediante l’applicazione della certificazione di sostenibilità. Il commercio riveste un ruolo importante anche per garantire la sicurezza alimentare a livello globale, perché permette di trasferire prodotti alimentari dalle regioni con surplus produttivo a quelle con deficit.
A sua volta diversi elementi sostengono un commercio internazionale fiorente. Questo è favorito dall’abbattimento delle barriere e dei dazi alle importazioni, dall’adozione di pratiche commerciali efficaci, dal progresso tecnologico, che rende le catene di valore più efficienti e crea posti di lavoro, dall’urbanizzazione, dal miglioramento infrastrutturale e dalla riduzione dei costi di trasporto.
In Europa scambi soprattutto nella stessa macroarea
Il commercio di prodotti agroalimentari riguarda in particolar modo gli alimenti trasformati. La maggior parte dei prodotti rientra negli scambi commerciali tra i Paesi ad alto reddito. Ma in media tutti i gruppi di Paesi distinti per reddito importano più prodotti agroalimentari che materie prime alimentari. I Paesi con un reddito a livello intermedio esportano più prodotti alimentari di quanti ne importano, dando mostra così di un settore industriale sviluppato e orientato all’export.
Sono i Paesi a basso reddito a esportare soprattutto commodities agricole, e sono quelli specializzati nella produzione di materie prime agricole con un settore manifatturiero meno sviluppato. L’export dei Paesi a medio-basso reddito è aumentato soprattutto negli aggregati di frutta e verdura (tra il 1995 e il 2018 quadruplicate nei Paesi a medio reddito, ad esempio), ma anche in prodotti alimentari trasformati (un aumento di sei volte in quelli più poveri), derivati del latte, uova e grassi e oli vegetali.
Delle differenze emergono infine anche a livello geografico. Se da un lato in Europa, Asia centrale, Asia orientale e Pacifico gli scambi avvengono tendenzialmente nella stessa macroregione, Asia meridionale, America latina e Caraibi, Africa subsahariana, America settentrionale, Medio Oriente e Africa settentrionale tendono invece a rivolgersi a un mercato più ampio. Ad esempio circa il 90% dell’export agroalimentare di Africa subsahariana e da America Latina e Caraibi arriva in altre regioni.
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