La circolarità è un cardine della bioeconomia, il modello che punta a realizzare un’economia sostenibile. È più rispettoso delle risorse naturali, compatibile con la tutela ambientale, riduce gli sprechi e la perdita di cibo, sfrutta il potenziale della scienza, delle biotecnologie, le innovazioni per fornire prodotti e materiali alternativi. La mangimistica, con il recupero dei co-prodotti provenienti da altri cicli produttivi, è un esempio di questo nuovo paradigma. La Fao, così come altre organizzazioni internazionali insieme agli Stati membri, è impegnata nella transizione verso un sistema agroalimentare più sostenibile in grado di assicurare quantità di cibo sufficiente a fronte di una domanda sempre più elevata proveniente da una popolazione in crescita.
La produzione maggiore di prodotti agro-alimentari-zootecnici metterà ulteriormente sotto pressione l’ambiente sfruttando sempre più risorse naturali. Per questo motivo – ed è quanto sta promuovendo la Fao – la produzione deve avvenire in modo responsabile. Una responsabilità che deve coinvolgere anche i consumatori. Sia sul fronte della domanda che su quello dell’offerta ci si deve impegnare a ridurre gli sprechi e la perdita di cibo e risorse che possono essere invece utilizzate, ad esempio. Oggi il 14% di tutto il cibo prodotto si perde lungo la catena di valore, dal raccolto alla vendita, ricorda l’agenzia delle Nazioni unite. Per non parlare della quantità di cibo che finisce nella spazzatura direttamente a livello del consumatore. Ripensare la produzione in modo sostenibile significa evitare le perdite e gli sprechi di cibo, riutilizzare i residui e i co-prodotti, recuperare scarti di lavorazione per fornire prodotti alternativi e ridurre lo sfruttamento delle risorse naturali, dare nuovo valore agli alimenti che si perdono.
Ingredienti per mangimi da altre lavorazioni
Questo è quello che fa un’economia circolare e questo è quello che fa la mangimistica ormai da anni. L’industria degli alimenti per animali utilizza i co-prodotti provenienti dalla lavorazione di altri comparti, sfrutta quegli alimenti destinati al consumo umano che per diverse ragioni non sono più commestibili (con riferimento ad esempio all’industria dolciaria). La ricerca, poi, è impegnata nell’individuazione di alternative alle proteine vegetali utilizzate per la produzioni di mangimi, come le alghe.
Nel suo working paper sulla Sostenibilità e la bioeconomia del 2019 la Fao ha illustrato alcuni progetti in giro per il mondo che cercano di mettere in pratica i principi della bioeconomia e della circolarità. In Ghana dal 2004 è stato lanciato un progetto per lo sfruttamento integrale della palma da olio: la polpa dei semi, dopo la spremitura per ottenere l’olio, ricca di proteine, viene utilizzata proprio per l’alimentazione animale. Lo stesso in Brasile, con il programma, in campo dal 2013, per ricavare ingredienti per mangimi dalla coltivazione dei girasoli.
Sempre nello stesso documento si riconoscono le difficoltà nell’adozione del paradigma dell’economia circolare, ad esempio in relazione alla qualità dei residui quando questi provengono dai rifiuti urbani, oppure in relazione a costi e logistica. È utile, ad esempio, ridurre la distanza tra il sito di raccolta e di trasformazione dei residui. Cruciali sono le partnership e l’integrazione fra le aziende dei diversi comparti produttivi coinvolti.
Con la bioeconomia si riduce l’impronta ambientale
La mangimistica può quindi dare un contributo essenziale alla sostenibilità (e non solo in termini di adozione di un modello di economia circolare, basti pensare alla promozione del benessere animale con le ricadute sul contrasto all’antibiotico-resistenza). Anche la zootecnia può farlo, sottolinea la Fao, ad esempio evitando di gestire gli allevamenti in modo da favorire il degrado del suolo. L’agenzia delle Nazioni unite ha adottato un progetto per promuovere pratiche di allevamento sostenibile in giro per il mondo come il pascolo a rotazione o la produzione di mangimi nelle stesse fattorie.
La bioeconomia è inoltre vantaggiosa perché permette di contrastare l’inquinamento e la produzione di rifiuti in plastica. Impiegare materiali provenienti da risorse naturali, biodegradabili, riduce l’uso della plastica e contiene la quantità di emissioni nocive per l’atmosfera. L’impronta ambientale del settore primario è correlata anche all’abuso di prodotti chimici, causa di inquinamento di acqua e suolo e di emissioni di gas inquinanti. Trovare alternative a questi prodotti è ancora più importante a fronte di una popolazione in crescita da sfamare, dice la Fao, che ricorda la sperimentazione cinese sull’utilizzo come fertilizzante della paglia, sottoprodotto della coltivazione di molti cereali tra cui il grano.
Come accennato, anche sul fronte della domanda si può agire per realizzare la bioeconomia. La diversificazione delle diete è un ambito su cui intervenire. Solo sei colture fra le seimila specie vegetali coltivate nel mondo forniscono i due terzi della produzione alimentare. Provare ad ampliare il consumo significa promuovere una dieta più varia e migliorare la nutrizione. Molte comunità agricole dipendono solo da poche colture per l’alimentazione di base ma queste hanno una loro stagionalità che implica periodi di carenza di cibo. Promuovendo la coltivazione di specie molto nutrienti ma poco sfruttate si può aiutare queste comunità a far fronte ai loro bisogni nutrizionali preservando, allo stesso tempo, la biodiversità.