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Fefac e Assalzoo: a che punto è arrivata la ricerca di fonti proteiche alternative

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La ricerca di fonti proteiche rappresenta la maggiore sfida in termini di sostenibilità, nell’ambito della produzione dei mangimi per animali destinati all’alimentazione umana. L’industria mangimistica è impegnata a cercare possibili fonti proteiche alternative, che siano in grado di rispettare il requisito fondamentale della sicurezza dei mangimi. Di questo tema si è discusso durante il workshop: “Nuove fonti proteiche come garantire una efficace analisi del rischio?”, che si è tenuto il 9 ottobre 2015 a Piacenza, su iniziativa di Fefac (European Feed Manufacturers’ Federation), la federazione dei produttori europei di mangimi, e di Assalzoo (Associazione Nazionale tra i Produttori di Alimenti Zootecnici), che riunisce i principali rappresentanti dell’industria mangimistica italiana.

Al convegno hanno preso parte circa 130 partecipanti, tra i quali anche gli esperti dell’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare). Durante l’evento si è discusso della possibilità di ricorrere a fonti proteiche alternative come insetti, alghe, sostanze di origine vegetale e proteine unicellulari. È stato, quindi, aperto un focus specifico sulla valutazione e sulla gestione dei rischi correlati all’impiego di questi elementi.

Fonti vegetali – Nel breve periodo, il concentrato di piselli e le alghe mostrano risultati incoraggianti come fonti proteiche vegetali. Tuttavia, secondo il dott. Marinus van Krimpen dell’Università di Wageningen (Olanda), a lungo andare la migliore alternativa economica alla soia importata consiste nel produrre la soia all’interno degli stati dell’Unione Europea. Attualmente i produttori europei ottengono una quantità maggiore di proteine da un ettaro di grano piuttosto che da uno di soia. Secondo Van Krimpen, i rendimenti derivanti dalla produzione europea di soia dovrebbero, quindi, aumentare da 3 a 5 tonnellate per ettaro affinché il legume possa diventare un’alternativa sostenibile.

Insetti – Elaine Fitches di Proteinsects e Antoine Hubert di Ipiff (International Platform of Insects for Food and Feed) hanno illustrato gli aspetti qualitativi ed economici dell’allevamento degli insetti. Gli insetti possiedono elevati livelli di proteine altamente digeribili (fino al 60%). Inoltre, possono raggiungere fino a 150 tonnellate per ettaro in un lasso di tempo molto breve. Gli esperti non concordano, però sul substrato da utilizzare per fare in modo che gli insetti diventino una fonte proteica sostenibile per l’industria mangimistica. Secondo l’Ipiff sarebbe meglio impiegare substrati vegetali, che soddisfano i requisiti normativi previsti dall’Unione Europea. Il progetto Proteinsects, finanziato dall’UE, prevede invece la sperimentazione di altri substrati, quali il letame e i rifiuti alimentari, che attualmente non sono consentiti in Europa.
L’esperto Efsa Tilemachos Goumperis ha evidenziato che, sulla base dei dati disponibili, l’impiego degli insetti nella produzione di mangimi e alimenti appare sicuro, ma ritiene che occorrano ulteriori ricerche per valutarne i rischi microbiologici e la contaminazione chimica.
Fitches e Hubert hanno invitato la Commissione Europea a rivedere la normativa secondo cui le proteine derivanti dagli insetti devono sottostare agli stessi requisiti di macellazione di tutte le altre proteine animali trasformate, di origine diversa da quella dei ruminanti. A loro avviso, eliminare questo ostacolo consentirebbe all’insetticoltura di essere utilizzata nell’acquacoltura.
Martha Ponghellini, Dirigente della Dg Sante, ha sottolineato che le materie prime come gli insetti non dovrebbero essere considerate “nuovi mangimi”, perché non rappresentano una novità. L’innovazione, semmai, risiede a livello produttivo, nei progressi compiuti per raggiungere una produzione su vasta scala.

Fonti proteiche marine – Enrico Bachis dell’Iffo (The Marine Ingredients Organisation), ha sottolineato che la quantità di farina di pesce a disposizione sta diminuendo e che, per il momento, le alternative principali sono l’impiego degli scarti dei pesci e l’acquacoltura. La farina ottenuta dagli scarti della pesca ha un ottimo profilo aminoacidico. Tuttavia, rispetto alla farina di pesce, ha bassi livelli proteici e un’elevata presenza di ceneri. Inoltre, la normativa che regola l’acquacoltura è più severa e, per di più, in questi prodotti il rischio che vi siano residui chimici e antibiotici è maggiore.
La produzione autotrofica di alghe poterebbe, quindi, rappresentare la via più praticabile per ottenere nuove fonti proteiche. Tuttavia, i costi di produzione restano ancora alti. Bachis evidenzia i lati positivi del krill, ma sottolinea che è presente in quantità troppo limitate per poter rappresentare una valida alternativa alle fonti tradizionali. Infine, l’impiego dei vermi marini carnivori, che possono essere nutriti con gli scarti di pesce, finora non si è dimostrato finanziariamente sostenibile. Oltre tutto, sembra che questi animali accumulino sostanze contaminanti.

Proteine unicellulari – Philippe Tacon di Cofalec (Confederation of Yeast Producers) ha evidenziato che gli organismi unicellulari come lieviti, batteri, funghi o microalghe rappresentano un’interessante fonte di proteine, in particolare per l’acquacoltura. Questi esseri viventi possono essere allevati in campo agricolo, nei rifiuti umani e animali. In particolare, i lieviti contengono il 49% di proteine altamente digeribili, con un profilo aminoacidico vicino a quello della soia e della farina di pesce. Possono essere prodotti direttamente per la realizzazione di mangimi (coltura primaria) o indirettamente, ad esempio tramite la fermentazione dei sottoprodotti derivanti dalle fabbriche di birra. I lieviti sono anche immessi sul mercato sotto forma di cereali secchi distillati con sostanze solubili, di solito provenienti dalle industrie di bioetanolo di Stati Uniti e Brasile. I controlli sui lieviti primari sono, tuttavia, molto severi, a causa della potenziale contaminazione con microrganismi patogeni e dell’eventuale presenza di microrganismi geneticamente modificati. Quest’ultimo aspetto va a toccare la legislazione sui mangimi Ogm.

Fefac e Assalzoo hanno organizzato il workshop per consentire a tutti gli operatori del settore di valutare i rischi e la redditività economica delle principali fonti proteiche alternative. Angela Booth, Presidente del Comitato per la sostenibilità di Fefac, ha dichiarato che i diversi membri della filiera mangimistica dovrebbero assumersi le loro responsabilità, impegnandosi a garantire la sicurezza dei mangimi e a facilitare l’accesso alle informazioni relative ai profili di rischio.

Peter Radewahn, Presidente del Comitato di nutrizione animale di Fefac, ha affermato che le fonti proteiche alternative di cui si è discusso non dovrebbero essere considerate uno spreco, sia in termini giuridici, sia in termini concettuali. Inoltre, ritiene che la Commissione Europea dovrebbe attivarsi per rimuovere gli ostacoli legali che ne impediscono l’impiego.

Alberto Allodi, Presidente Assalzoo, ritiene che nonostante i lodevoli sforzi profusi nella ricerca di fonti proteiche alternative, nel prossimo futuro l’industria mangimistica europea continuerà a dipendere dalle importazioni di soia, principalmente da Nord e Sud America, per ottenere le materie prime di cui ha bisogno per soddisfare le esigenze del settore zootecnico.

Foto: © Stefanos Kyriazis – Fotolia

Nadia Comerci