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Ferrari (Federalimentare): “Formazione in azienda strumento chiave per la competitività”

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Con l’investitura di Ivano Vacondio alla presidenza di Federalimentare per il prossimo quadriennio, Silvio Ferrari è stato nominato vice-presidente con delega allo Sviluppo economico, al coordinamento prima trasformazione e alle relazioni sindacali. Nell’intervista con Mangimi&Alimenti affronta i temi dell’innovazione e della competitività, di cruciale importanza per il futuro del secondo comparto manifatturiero italiano.

Nel settore che rappresenta sono attive circa 71 mila aziende. Che benefici può portare loro lo sviluppo tecnologico?

Il settore dell’industria alimentare si basa sui processi di trasformazione che sono inevitabilmente correlati all’innovazione tecnologica. Tra i benefici che lo sviluppo tecnologico porta con sé ci sono anche la riduzione dei costi di produzione e il miglioramento della produttività ma in particolare la valorizzazione dei prodotti di qualità, quei prodotti che hanno contribuito alla diffusione del Made in Italy nel mondo. Gli investimenti nella tecnologia sono fondamentali per mantenere la qualifica di prodotti di valore di cui godono all’estero, per rendere questi prodotti più competitivi e per ottenere degli standard qualitativi sempre maggiori. Inoltre l’innovazione è la chiave per soddisfare i consumatori che sono diventati sempre più esigenti. Negli ultimi anni si sono diffusi nuovi comportamenti di acquisto e il mercato è andato segmentandosi aprendosi a nuovi consumatori. Ebbene, per interpretare queste esigenze, magari anche per anticiparle, diventa indispensabile per le imprese investire sui processi produttivi e di trasformazione.

L’innovazione tecnologica entra in azienda anche con l’adeguata formazione. Questo è un elemento di cui le relazioni industriali devono tener conto?

L’attenzione allo sviluppo tecnologico è un processo continuo ed è fondamentale che in azienda siano impiegate delle risorse adeguatamente formate. Già grazie all’istruzione il livello di formazione si alza ma questa si completa necessariamente in azienda. I giovani che escono dalle università devono dunque proseguire il processo di apprendimento sul posto di lavoro: le aziende si configurano infatti come delle “seconde università”. Solo chi investe sulla formazione riesce a intercettare le esigenze dei consumatori e a sopravvivere in un mercato sempre più competitivo.

Come favorire il ricambio generazionale?

La formazione è proprio uno strumento per agevolare l’inserimento dei giovani in azienda. In questo modo si riesce a controllare un fenomeno naturale come il ricambio tra le generazioni di lavoratori e coniugare l’energia dei giovani con l’esperienza dei senior, un elemento comunque da valorizzare. Le aziende devono essere messe in grado di favorire l’ingresso di nuove risorse anche con efficaci politiche pubbliche soprattutto in una fase storica in cui c’è forte preoccupazione sul fronte del lavoro. Sono costi che le aziende devono sopportare ed è giusto che siano aiutate.

Sul fronte del lavoro il confronto tra l’Italia e gli altri principali attori del mercato europeo premia Paesi come Francia, Spagna e Germania. Cosa fare per ridurre il costo del lavoro?

Bisogna produrre valore. Solo così i costi possono essere ripartiti e ammortizzati. L’innovazione e lo sviluppo hi-tech servono a qualificare e a dare valore al prodotto e a sua volta il valore del prodotto riesce a distribuire e assorbire i costi che naturalmente si generano. Pertanto gli interventi per la formazione sul posto di lavoro, le spese in ricerca e sviluppo non devono essere visti dalle aziende come dei costi ma come degli investimenti. Le realtà imprenditoriali, però, hanno però bisogno di operare in un contesto che non le penalizzi. Chi fa bene impresa non può accettare situazioni in cui fattori esterni, che sono difficili da controllare, possano ostacolare la propria attività. Un apparato burocratico più snello, un sistema contributivo e fiscale più efficiente sono ulteriori strumenti a beneficio delle aziende per incrementare i loro livelli di competitività.

Vito Miraglia