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Frascarelli (Ismea): “Necessario accrescere l’organizzazione per la crescita dell’agroalimentare italiano”

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Angelo Frascarelli è il nuovo presidente di ISMEA – Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare. Docente di Economia e politica agraria e di Politica agroalimentare all’Università di Perugia, è anche componente del Consiglio scientifico di Crea. Nell’intervista con Mangimi & Alimenti fa il punto sui principali temi all’attenzione dell’Istituto e sulle sfide che lo attendono nel corso del suo mandato.

Quali saranno le linee di azione che caratterizzeranno il suo mandato alla presidenza di Ismea, un istituto centrale per il buon funzionamento del settore agro-alimentare-zootecnico italiano?

Il mio mandato, come Presidente di Ismea, vede in cima alla lista quattro obiettivi: funzionamento dei mercati e delle filiere, sviluppo delle imprese, implementazione della nuova PAC, gestione del rischio.

Le conseguenze economiche della pandemia non sono state le stesse per tutti i comparti. Alcuni, come la zootecnia, hanno pagato un prezzo elevato alla crisi. Di cosa ha bisogno l’agroalimentare italiano per recuperare il terreno perso e rafforzare la produzione?

Dobbiamo guardare al lungo periodo, la pandemia ha accentuato alcuni fenomeni, ma rimane un evento straordinario con caratteristiche transitorie e temporanee; l’agroalimentare poi ha reagito meglio di altri settori dimostrando capacità di resilienza, ora dobbiamo agevolare il processo di differenziazione dei prodotti, puntando su quelli ad alto valore aggiunto, abbandonando le commodities e puntando sulle specialities.

Un esempio per tutti può essere il range di prezzo molto diverso per la carne bovina da 4,2 €/kg per le carni di massa a 8,0 €/kg per la Chianina; far conoscere la segmentazione è un modo per trasmettere al consumatore il valore aggiunto del prodotto e stimolare le imprese ad un posizionamento più alto, confortati anche dalle richieste del mercato, nonché dalla sostenibilità.

La pandemia ha rallentato l’espansione dell’export di settore, che comunque ha chiuso il 2020 col segno ‘più’. Cosa serve al settore primario e della trasformazione alimentare per consolidare la sua presenza sui mercati esteri?

L’agroalimentare italiano si vende da solo, è un brand infallibile ma dobbiamo avere ben chiara la necessità di accrescere l’organizzazione che oggi rappresenta un limite enorme alla crescita del settore; l’investimento più importante deve essere nella capacità di trasferire i prodotti dal campo allo scaffale, sia nei mercati nazionali che internazionali.

In che modo l’Istituto potrà contribuire al rafforzamento delle filiere agroalimentari?

Ismea svolge un grande ruolo con l’analisi dei mercati agricoli ed agroalimentari, il monitoraggio continuativo è funzionale ad una piena conoscenza delle dinamiche delle filiere, ruolo che va rafforzato, fornendo strumenti, analisi, suggestioni, nell’ottica della trasparenza dei mercati, senza sostituirsi alla politica, né al protagonismo delle imprese, ma in un’ottica di servizio, strumentale a potenziare la differenziazione e agevolare l’innovazione.

L’elaborazione di una filiera certificata di prodotto tutto italiano – anche per tutelarsi da fenomeni di italian sounding all’estero – è un obiettivo realistico?

Il made in Italy è un valore, uno dei brand più conosciuti al mondo; la certificazione è sicuramente un elemento su cui puntare e da abbinare alla distintività, del resto è sempre più alta l’attenzione del consumatore sull’origine e sulla tracciabilità. Ma – ripeto – l’italian sounding si contrasta, oltre che con la certificazione, con l’organizzazione, ovvero con la capacità di portare i nostri prodotti su tutti gli scaffali della distribuzione estera o su tutti i ristoranti esteri.

di Vito Miraglia