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Il dibattito sugli Ogm è chiuso: vince l’innovazione

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“Non so voi, ma io ne ho abbastanza. Il dibattito sugli Ogm è chiuso. E’ finito. Non abbiamo più bisogno di discutere su se siano o no sicuri – più di una decade e mezza con 3mila miliardi di pasti geneticamente modificati mangiati e non c’è mai stato un solo caso di danno comprovato. Per di più, delle persone sono morte per aver scelto il biologico, ma nessuno è morto per aver mangiato Ogm”. Si è concluso in questo modo l’intervento di Mark Lynas – giornalista, scrittore e, soprattutto, ambientalista britannico – alla Oxford Farming Conference, la conferenza annuale degli agricoltori britannici che si è tenuta all’inizio dell’anno nella cittadina inglese. Inizialmente strenuo oppositore dell’uso degli organismi geneticamente modificati (Ogm) in agricoltura, Lynas si è trovato costretto a fare marcia indietro dalla sua posizione. Il motivo? La scienza.

 

“Ho scoperto la scienza – ha spiegato lo scrittore, autore di più di un libro sul cambiamento climatico contenenti argomentazioni scientifiche sui motivi per cui è il caso preoccuparsi per i pericoli corsi da uomo e ambiente – e in questo processo spero di essere diventato un ambientalista migliore. Greenpeace e la Soil Association affermano di essere guidati dal consenso scientifico, come per i cambiamenti climatici. Sugli Ogm c’è un consenso scientifico solido come una roccia, sostenuto dall’American Association for the Advancement of Science, dalla Royal Society, dai sistemi sanitari e dalle accademie scientifiche nazionali in tutto il mondo. Ma questa verità sconveniente viene ignorata perché cozza con la loro ideologia”.

 

Nel suo discorso Lynas ha toccato i punti caldi del dibattito: dalla necessità di più cibo per una popolazione mondiale in continua crescita alla libertà di scelta degli agricoltori, costretti dalle ideologie anti-Ogm a rinunciare all’innovazione nel loro settore, spiegando le risposte della scienza che lo hanno indotto a cambiare idea. “Ho scoperto una ad una che le mie amate convinzioni sugli Ogm non erano poco più che leggende urbane verdi. Mi ero convinto che aumentassero l’uso di prodotti chimici. E’ venuto fuori che il cotone e il mais resistenti agli insetti hanno bisogno di meno insetticidi. Mi ero convinto che gli Ogm avvantaggiassero solo le grandi aziende. E’ venuto fuori che maturano benefici per miliardi di dollari a favore degli agricoltori che hanno bisogno di meno contributi. Mi ero convinto che la tecnologia Terminator stesse derubando gli agricoltori del diritto di conservare i semi. E’ venuto fuori che gli ibridi lo hanno fatto molto tempo fa, e che non c’è stato nessun Terminator. Mi ero convinto che nessuno volesse gli Ogm. In realtà quello che è successo è che il cotone Bt è stato riprodotto abusivamente in India e la soya roundup ready in Brasile perché gli agricoltori erano entusiasti all’idea di utilizzarlo. Mi ero convinto che gli Ogm fossero pericolosi. E’ venuto fuori che sono più sicuri e più precisi rispetto gli incroci tradizionali che usano, ad esempio, la mutagenesi”.

 

Secondo Lynas è sufficiente affrontare il tema senza pregiudizi per capire che la maggior parte del dibattito è fondato sul presupposto errato che ciò che è naturale sia buono, mentre ciò che è artificiale sarebbe dannoso, quando, in realtà, il mondo è pieno di veleni naturali. Al momento, la conseguenza più importante di un dibattito di questo genere non è tanto la messa al bando degli Ogm, quanto l’aumento del loro costo, affrontabile solo da aziende molto grandi. “E’ di un’ironia deprimente – ha commentato l’ambientalista – che gli attivisti anti-biotech si lamentino che le piante geneticamente modificate siano vendute solo dalle grandi multinazionali quando nessuno ha fatto più di loro per creare questa situazione”.

 

Per quanto riguarda gli agricoltori, secondo Lynas è indispensabile che ognuno sia libero di scegliere il tipo di tecnologia da utilizzare nei propri campi. “Avete questo diritto – ha sottolineato il giornalista -. Ciò che non avete diritto di fare è ostacolare chi spera e si batte per fare le cose in modo diverso e, si spera, migliore. Agricoltori che capiscono la pressione di una popolazione crescente e di un mondo che si surriscalda. Che capiscono che le rese per ettaro sono il più importante indicatore ambientale. E che capiscono che la tecnologia non smetterà mai di crescere, e che anche il frigorifero e l’umile patata una volta sono stati nuovi e spaventosi”.

 

Foto: Pixabay

Silvia Soligon