Le colture proteiche sono caratterizzate da modesti input di fertilizzanti azotati, dalla capacità di migliorare la fertilità dei terreni agrari apportando azoto con i residui colturali e dall’elevata produzione di proteina utilizzabile nell’alimentazione animale. Proprio per tali caratteristiche, e quali possibili alternative, totali o parziali, alle fonti proteiche d’importazione – soia e derivati in primis – queste colture sono oggi al centro di un rinnovato interesse nell’ambito delle politiche agricole.
La produzione nazionale
L’andamento della produzione nazionale di colture proteiche da granella d’interesse zootecnico nel periodo 1999-2009, ha mostrato andamenti differenti per le diverse specie coltivate. Infatti, si è assistito ad una sostanziale riduzione della produzione nazionale di soia (quasi dimezzata in un decennio) solo in parte compensata dall’incremento di fava da granella, pisello proteico e cece. Queste ultime, infatti, assumono un ruolo marginale in termini quantitativi rispetto alla soia. Ad esempio, il pisello proteico ha rappresentato nel 2009 solo il 3% della produzione totale nazionale di granella ad uso zootecnico, a fronte del 79% rappresentato dalla soia (Tab. 1). In ultima analisi, dal 1999 al 2009 si è avuta una perdita netta di risorse proteiche d’origine nazionale (circa 320.000 tonnellate di soia) destinabili alle filiere zootecniche.
Le cause di ciò possono essere ricercate nella limitata conoscenza delle tecniche agronomiche in relazione ai diversi ambiti produttivi nazionali, nella mancanza di nuove varietà in grado di offrire rese adeguate, costanti ed idonee alla raccolta meccanizzata, nella scarsa resistenza ad avversità biotiche (Ascochyta spp., Fusarium spp.) e, non da ultimo, nel modesto investimento nella ricerca scientifica di settore.
Attualmente, alcune leguminose da granella, considerate proteaginose “minori” per la loro scarsa diffusione, tra le quali il cece (Cicer arietinum L., 1753) e il lupino azzurro (Lupinus angustifolius L., 1753) (Fig. 3), possono fornire un contributo importante per l’affermarsi di indirizzi produttivi a basso input e favorenti un’elevata integrazione tra produzione vegetale e animale.
Tali leguminose, coltivabili in asciutto e a ciclo autunno-primaverile, possono rappresentare una valida alternativa colturale in sistemi agricoli basati su monosuccessione di cereali, in quanto:
determinano un arricchimento azotato del suolo;
sono utili per la preparazione dei terreni per la conversione a produzioni biologiche;
costituiscono un valido sistema per la copertura e la protezione del suolo;
sono fonte di proteine per il razionamento degli animali da reddito.
Cece e lupino azzurro: note nutrizionali
Il cece è utilizzato in quasi tutti i Paesi sia per l’alimentazione umana che per quella animale. In Italia la coltivazione di questa specie, sebbene sostanzialmente destinata al consumo umano, ha avuto una buona diffusione specie nelle aree marginali del Centro Sud, dove l’elevata rusticità garantisce livelli produttivi più elevati rispetto ad altre leguminose. Il valore nutrizionale del cece si deve essenzialmente al discreto contenuto in proteina grezza (attorno al 24-25% sulla s.s.), associato ad un buon contenuto di amido (44-45% sulla s.s.), che ne fanno un alimento bilanciato nell’apporto proteico ed energetico ai fini zootecnici (Tab. 2). Non è da sottovalutare, inoltre, il buon contenuto di vitamine del gruppo B (tiamina, riboflavina e niacina), di amminoacidi essenziali (lisina) e di minerali (ferro, zinco e calcio) (Carnovale et al., 1987), unitamente ad un limitato contenuto in lignina.
Interessante, inoltre, è il contenuto di lipidi grezzi (fino al 5%), notevolmente più elevato di quello di altri legumi in cui, di norma, si attesta su valori più modesti (2-3 % s.s.). I lipidi sono responsabili del caratteristico sapore del cece e di alcune sue caratteristiche tecnologiche (Carnovale et al., 1987). Tra i carboidrati solubili vanno annoverati principalmente saccarosio e glucosio oltre a raffinosio, stachiosio e verbascosio.
Similmente al cece, anche il lupino azzurro è apprezzabile per l’elevato contenuto proteico (28-29% di proteina grezza sulla s.s.) (Tab. 3); per tale motivo, l’impiego in alimentazione animale risulta in crescente espansione in Europa. Inoltre, la proteina del lupino azzurro risulta maggiormente disponibile nel post-rumine poiché accumulata nel seme sotto forma di globuline che presentano minore potere emulsionante e, di riflesso, minore degradabilità in ambiente ruminale rispetto alle albumine presenti in altre proteaginose.
Peculiare del lupino azzurro è il limitato contenuto in amido; i carboidrati non strutturali dei semi di lupino, infatti, sono accumulati sotto altre forme, principalmente i β-(1-4)-galattani (Carre et al., 1985). I semi di lupino azzurro contengono un buon quantitativo di oligosaccaridi della famiglia dello stachiosio (35-38 g/kg s.s.) (Van Kempen et al., 1994) e del raffinosio (4-9 g/kg s.s.); quest’ultimo, tuttavia, se in eccesso può provocare diversi effetti negativi aumentando la produzione di gas ed interferendo con la digestione di altri nutrienti (Van Barneveld, 1999). Il contenuto in lipidi grezzi della granella di lupino azzurro risulta piuttosto elevato, con valori prossimi al 5% sulla s.s. I principali acidi grassi presenti sono rappresentati dall’acido linoleico per oltre il 48%, dall’oleico per il 30-31%, dal palmitico per l’8% e dal linolenico per il 5-6% (Hansen & Czochanska, 1974). La componente mono- e poli-insatura del profilo acidico del lupino azzurro, a differenza di altri legumi, per motivi ancora non compresi appieno, risultano piuttosto stabili e resistenti all’ossidazione (Petterson, 1998), fattore questo non trascurabile per garantire il mantenimento della qualità degli sfarinati.
Di particolare interesse applicativo è la qualità della proteina la cui valutazione, in prima istanza, si basa sulla composizione in amminoacidi. Ne caso del cece, la composizione aminoacidica è simile a quello di altri legumi, con un buon contenuto in lisina ed un moderato contenuto in amminoacidi solforati (Tab. 4) che lo rende particolarmente adatto alla complementazione con i cereali.
La composizione aminoacidica del lupino azzurro non risulta altrettanto equilibrata, presentando un livello aminoacidi essenziali inferiore rispetto alla soia, ma comunque paragonabile al pisello proteico, e carenze di aminoacidi aromatici e solforati. Il contenuto di lisina, tuttavia, al pari del cece è intermedio rispetto ai dati disponibili per la soia e il pisello proteico (Fig. 1). Anche nel caso del lupino azzurro, la complementazione con alcuni cereali permette l’ottenimento di apporti proteici validi, in termini quali-quantitativi, sia per la dieta dei ruminanti come in quella dei monogastrici.
Considerazioni conclusive
Le prospettive d’impiego delle proteaginose “minori” in ambito zootecnico dipenderanno dall’attivazione delle relative filiere (dalla produzione di seme certificato alla trasformazione ad opera dei mangimifici, fino all’inclusione in razioni bilanciate sia in termini quantitativi che qualitativi) e dal raggiungimento della competitività sul mercato nei confronti della soia. Appare evidente come un supporto scientifico con approccio multidisciplinare può contribuire sostanzialmente alla diffusione di tali colture ai fini zootecnici, sia attraverso contributi all’azione gestionale in sede di pianificazione delle politiche agricole che attraverso la messa a disposizione del sistema agro-zootecnico nazionale di approfondite conoscenze di carattere genetico, agronomico e zootecnico.
Riferimenti bibliografici
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Crapo, P. A., 1985. Simple versus complex carbohydrate use in the diabetic diet. Annual Review of Nutrition, 5: 95-114.
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Martillotti F., Bartocci S., Terramoccia S., 1996. Guida all’alimentazione dei ruminanti da latte. Tavole dei valori nutritivi degli alimenti di interesse zootecnico. Quaderni – Zootecnia. INEA, Roma.
Piccioni M., 1979. Dizionario degli alimenti per il bestiame. Edagricole, Bologna
Van Barneveld R. J., 1999. Understanding the nutritional chemistry of lupin (Lupinus spp.) seed to improve livestock production efficiency. Nutrition Research Reviews, 12: 203-230.
Van Kempen G. J. M., Jansman A. J. M., 1994. Use of EC produced oil seeds in animal feeds. In “Recent Advances in Animal Nutrition”, pp. 31-56 [PC Garnsworthy and DJA Cole, editors]. London: Butterworths.
Fonti dei dati
FAOSTAT, 2010. http://faostat.fao.org/site/339/default.aspx (ultimo accesso novebre 2010).
ISTAT, 2010. i-STAT il data warehouse dell’Istat, http://dati.istat.it/, (ultimo accesso: novembre 2010).
NRC, 2001. Nutrient requirement of dairy cattle. Seventh revised edition. National Academic Press, Washington D.C. – USA
Pubblicato: Gennaio-Febbraio 2011
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Bruno Ronchi, Riccardo Primi e Pier Paolo Danieli