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L’eredità di EXPO: la Carta di Milano

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L’Esposizione Universale di Milano rappresenta motivo di orgoglio per il nostro Paese soprattutto in considerazione dell’ambizioso proposito che si prefigge di mettere al centro dell’attenzione mondiale il problema di come nutrire il pianeta nel prossimo futuro.

“Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” è infatti il Tema al centro della manifestazione e il filo conduttore che ispira tutti gli eventi organizzati sia all’interno, sia all’esterno dello sito espositivo. Un tema capace di coagulare la partecipazione di circa 140 Paesi, di milioni di visitatori (sono già stati superati i 15 milioni di biglietti venduti), di migliaia di incontri, convegni e spettacoli e di una molteplicità di testimonianze delle tradizioni alimentari che caratterizzano le diverse civiltà e i diversi modi di interpretare il cibo.

La maggiore ambizione di Expo non è tuttavia quella di organizzare una grande esposizione, ma di lasciare un’impronta per il futuro attraverso la costruzione di un nuovo modello alimentare, dai contorni ambiziosi e impegnativi: il cosiddetto “Protocollo di Milano sull’alimentazione e la nutrizione” – elaborazione teorica e pratica sostenuta con convinzione dal Governo italiano. L’obiettivo dichiarato del protocollo, e dell’approccio istituzionale italiano, è richiamare i cittadini, le associazioni, le imprese e le entità di governo ad assumersi la responsabilità di garantire alle generazioni future il diritto al cibo.

Obiettivo principale del documento è quello di superare le condizioni inaccettabili di denutrizione di una parte della popolazione mondiale e porre rimedio anche alle contraddizioni che stanno dietro il problema della fame: ci sono 870 milioni di persone denutrite ed al contempo milioni di persone muoiono per disturbi legati a un’alimentazione scorretta e al troppo cibo; rimediare allo spreco di 1,3 miliardi di tonnellate ogni anno, ma anche produrre più cibo in modo sostenibile per allontanare dallo spettro della fame una popolazione mondiale di cui è prevista la crescita esponenziale nei prossimi 30 anni.

Per essere affrontate tali questioni necessitano di un approccio complessivo che si liberi da posizioni dettate dall’ideologia o dal pregiudizio. É successo infatti che le politiche agro-alimentari dei Paesi più benestanti, come il nostro, si fondino sul modello della “pancia piena”, elaborando ipotesi di sviluppo futuribile e non praticabili nei paesi in cui la denutrizione è un fatto reale, non ipotetico, da combattere giorno dopo giorno.

C’è bisogno quindi di scelte politiche consapevoli, che promuovano stili di vita sostenibili e sfruttino il progresso scientifico e l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia per favorire l’instaurarsi di un migliore equilibrio tra disponibilità e consumo delle risorse rispetto alla produzione del cibo, alla disponibilità e alla sicurezza di esso per tutte le popolazione della terra. È per questo che il percorso della Carta di Milano è di fatto di là da seguire.

In questa ottica vale la pena esplicitare alcune considerazioni sul documento diffuso ad aprile in relazione a quei criteri che appaiono non essere in sintonia con gli obiettivi dichiarati.

OBIETTIVO 2030 – La prospettiva è assolutamente da condividere. Cambiamento climatico, produttività agricola, gestione delle risorse disponibili, prima fra tutte l’acqua, educazione alimentare, crescita della popolazione, impongono di attuare sistemi di produzione e di promozione degli stili di vita che consentano alle generazioni future di sfruttare in modo sostenibile le risorse naturali, evitando sprechi e approntando strumenti di rigenerazione. Solo su queste basi di innovazioni di strumenti e di forme di sfruttamento che si potrà costruire un capitale “di sostenibilità” in grado di garantire benessere agli abitanti del pianeta.

SOSTENIBILITA’ – Se la priorità è quella di perseguire modelli produttivi sostenibili, occorre allo stesso tempo stabilire una scala gerarchica delle esigenze, massimizzando la capacità dell’agricoltura e della zootecnia (principali fonti di cibo per gli abitanti di tutto il mondo) anche attraverso l’apporto fondamentale della ricerca scientifica. C’è da aumentare la capacità di produrre materie prime destinate a scopo alimentare (umano o animale) e, allo stesso tempo, disincentivare ogni impiego concorrente se non in via subordinata. L’utilizzo dei terreni per impieghi alternativi a quello alimentare deve essere residuale e finalizzato a una valorizzazione per altri cicli produttivi, come possono essere le energie alternative.
A questo proposito va sottolineato come le produzioni zootecniche svolgano un ruolo di primaria importanza nell’assicurare cibo di alta qualità e di elevato valore nutrizionale. È fuorviante la tesi che vede nell’uso dei mangimi uno spreco di potenziali alimenti per l’uomo: è solo attraverso i mangimi, infatti, che è possibile ottenere carni (oltre a latte, uova e pesce) e rendere sostenibile l’accesso di tali cibi a tutti. La produzione di mangimi, inoltre, avviene anche con materie prime spesso non destinabili al consumo umano o che derivano dalla reimmissione nel circuito produttivo dei derivati delle industrie alimentari. L’uso dei mangimi consente sistemi di allevamento che ottimizzano l’alimentazione degli animali e le loro rese, contribuiscono a elevarne lo stato di benessere e ne riducono l’impatto ambientale.

SPRECO ALIMENTARE – Ogni sforzo sarà inutile se non sarà riconosciuto il ruolo di una ricerca scientifica a tutto campo e non verrà fornita una corretta informazione ai consumatori. Ricerca scientifica e informazione sono necessari per sensibilizzare e prevenire gli sprechi dei prodotti alimentari. Bisogna far conoscere i sistemi di produzione più efficienti, siano essi primari o di trasformazione, in modo tale da consentire ai consumatori di acquisire consapevolezza sul fatto che la prima fonte di spreco è determinata da una scarsa efficienza dei modelli produttivi nella filiera alimentare. Essere consapevoli della realtà è il presupposto per evitare che i consumatori vengano fuorviati da messaggi, slogan o mode in cui la leva della sostenibilità è spesso usata per nascondere altre finalità.

RUOLO DELLE AZIENDE – È necessario prevedere standard minimi di produzione a livello internazionale che garantiscano la sostenibilità (attraverso la diversificazione delle produzioni, la biodiversità, il benessere degli animali allevati), ma anche la sicurezza e la qualità delle produzioni. Vanno evitate forme di concorrenza tra le produzioni agro-alimentari, affinché venga garantito l’uso più razionale possibile delle risorse naturali disponibili sul pianeta.

Giulio Gavino Usai