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L’impatto del CoVid-19 sulla filiera delle carni suine e dei salumi

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La pandemia di CoVid-19 ha avuto un impatto molto forte sull’economia di tutti i Paesi colpiti e sull’economia globale. Dopo l’impatto di breve periodo ora tutti si stanno preoccupando anche delle ricadute di medio e lungo termine, in parte ancora da comprendere e quantificare.

Il primo shock è stato determinato dal blocco di tutte le attività del comparto Horeca; il secondo dalla forte limitazione della mobilità dei cittadini, fino a consentire le uscite per l’acquisto di prodotti alimentari essenziali solo nel Comune di residenza. In una prima fase c’è stata una corsa all’accaparramento di prodotti essenziali e facilmente conservabili. È l’effetto tipico determinato dalla paura di dover affrontare un periodo più o meno prolungato con una ridotta disponibilità di alimenti. Per fortuna questa paura è durata poco.

In una seconda fase i consumatori hanno reagito modificando le proprie abitudini di acquisto: non avevano più la possibilità e la necessità di consumare pasti fuori casa e hanno spostato enormi flussi di prodotto dal canale Horeca a quello della distribuzione. Per le filiere suinicole ciò ha comportato due effetti: in una prima fase c’è stato un aumento della domanda di lombi, che ha avuto anche ricadute sui prezzi all’ingrosso; i prezzi sono aumentati ai primi di marzo, hanno raggiunto un massimo a fine mese ma dopo la metà di aprile sono nuovamente scesi ai livelli pre-pandemia.

Un secondo effetto è quello determinato dal significativo incremento delle vendite di salumi confezionati. In generale, secondo le due indagini curate da Ismea e basate su rilevazioni Nielsen, la domanda di prodotti confezionati nel mese di marzo è aumentata del 19% rispetto alle stesse settimane dell’anno precedente, e del 18% nel mese di aprile, incluse le vendite di Pasqua. In questo contesto le vendite di salumi confezionati sono aumentate del 21% nel mese di marzo e del 31% in aprile.

Si tratta di dati importanti ma che riguardano, come detto, solo i prodotti confezionati. Per stimare l’effetto complessivo sulla domanda si deve considerare che l’Horeca pesa presumibilmente per almeno il 20% sui consumi complessivi di prodotti alimentari e negli stessi punti vendita della distribuzione le vendite al banco sono diminuite. In un quadro generale probabilmente i consumi complessivi di salumi sono diminuiti, anche se allo stato attuale non è facile quantificarne una misura.

Più in dettaglio i dati dell’indagine Nielsen per Ismea indicavano un aumento dei consumi del 16% per il prosciutto pre-affettato in vaschetta nel mese di marzo; in aprile i volumi per lo stesso prodotto sono cresciuti del 21%, e del 31% in valore, con un aumento medio dei prezzi del 9%. Andamento simile si è registrato anche per il cotto, sempre ad aprile: +23% in volume, +38% in valore, +13% in termini di prezzo. Aumenti ancor più significativi per i wurstel: +30% in volume, +44% in valore e + 11% in termini di prezzo. Ad aprile anche i salumi a libero servizio hanno recuperato, mettendo a segno un aumento delle vendite pari al 21% in quantità e del 31% in termini di valore.

L’attività di macellazione dei suini è stata una delle prime a risentire degli effetti della crisi. Infatti, per effetto delle misure di distanziamento e di prevenzione imposte progressivamente, le imprese hanno subito un significativo rallentamento delle attività produttive per diverse settimane. Le macellazioni si sono ridotte già nella settimana dal 9 al 15 marzo, per scendere fino a un -22% circa nella settimana tra il 13 e il 19 aprile. Il recupero produttivo è stato progressivo e solo nella settimana dall’11 al 17 maggio si sarebbe tornati a livelli di macellazione paragonabili a quelli delle corrispondenti settimane dell’anno scorso. Questo rallentamento delle macellazioni ha determinato un vero e proprio crollo del prezzo dei suini da macello, a causa della situazione di eccesso di offerta determinatasi. Per di più, i suini che non possono essere macellati, oltre a costare in allevamento a causa della necessaria prosecuzione di alimentazione e cura, rischiano di uscire dal peso consentito per il circuito tutelato (Prosciutto di Parma e San Daniele), con le norme attuali dei disciplinari, rischiando così un ulteriore deprezzamento.

Ma la crisi non si ferma a questo livello. Infatti, mentre alcune imprese dell’industria salumiera hanno potuto trarre vantaggi anche importanti dalla crescita della domanda soprattutto di pre-affettati nella Gdo, la gran parte delle imprese hanno subito gli effetti negativi della chiusura dell’Horeca. In questo contesto, nelle ultime settimane il rallentamento di queste imprese nell’acquisto di materia prima da destinare alla trasformazione ha portato a un ulteriore forte crollo dei prezzi anche dei tagli di carne fresca. In queste condizioni i prezzi delle carni suine italiane sono più bassi rispetto ai prezzi dei nostri principali competitor europei. A questi prezzi non ha nemmeno senso importare, ma non è una gran consolazione. Sarebbe meglio poter tornare ad esportare a pieno ritmo.

La progressiva riapertura dell’Horeca e il tradizionale aumento dei consumi di carni suine nel periodo estivo probabilmente avranno effetti positivi sul comparto, ma le ‘ferite economiche e soprattutto finanziarie’ lasciate dalla pandemia potrebbero essere lente a guarire. Certamente la crisi che da diversi mesi, ben prima della pandemia, caratterizza il mercato del Parma Dop non aiuta la filiera. Quando il prodotto più importante di tutto il sistema italiano che ruota attorno al suino pesante non riesce a fare la differenza, la nuova crisi determinata dalla pandemia non è certo ciò di cui si aveva bisogno.

 

Foto: Pixabay

Gabiele Canali