Quanto è sostenibile il consumo di pane e pasta, frutta e verdura, carne e pesce? A illustrarlo con chiarezza è la ‘clessidra ambientale’ che dà l’idea dell’impatto sull’ambiente della Dieta mediterranea. Per ogni classe di nutrienti è indicata la quantità di Co2 prodotta da ciascuna persona secondo le indicazioni del regime alimentare patrimonio dell’Unesco. Quattordici porzioni a settimana tra carne, uova, legumi, salumi e pesce ha la stessa ‘carbon footprint’, ovvero produce la stessa quantità di gas serra, di frutta e verdura. Mangiare carne in giusta quantità quindi non comporta un aumento significativo dell’impatto ambientale di un individuo.
La clessidra è l’immagine simbolo del progetto ‘La sostenibilità delle carni in Italia’, presentato a Roma dai rappresentanti della filiera: Assocarni, Assoca e UnaItalia. “L’intero progetto denominato ‘Carni sostenibili’ è un’iniziativa senza precedenti, nata dalla collaborazione delle tre maggiori filiere zootecniche italiane, bovine, suine, avicole, per fare chiarezza sul mondo delle carni, un settore che oggi impiega oltre 180mila addetti, generando un valore economico di 30 miliardi di euro all’anno”, sottolinea Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare e vicepresidente di Assocarni. All’incontro è intervenuto anche Massimo Marino, ingegnere ambientale e fondatore della società Life Cycle Engineering. “Una dieta coerente con il modello mediterraneo è equilibrata anche dal punto di vista degli impatti ambientali – commenta Marino; quello medio settimanale della carne risulta allineato a quello di altri alimenti, per i quali gli impatti unitari sono minori, ma le quantità consumate decisamente maggiori”.
In Italia il consumo pro capite di carne è di 75 kg, mentre secondo la Dieta mediterranea il giusto consumo è di 400 grammi a settimana. Sui suoi aspetti nutrizionali si è soffermato Andrea Ghiselli, nutrizionista e ricercatore del Cra-Nut. “La carne e i salumi – precisa – rappresentano importanti fonti di proteine e altri nutrienti solitamente assenti (vitamina B12), poco rappresentati (zinco, selenio) o scarsamente disponibili (ferro-eme) nei prodotti di origine vegetale. Tutti questi elementi svolgono un ruolo importante per la salute dell’organismo e forniscono mediamente un apporto calorico molto più basso rispetto alle proteine vegetali”.
Ettore Capri, ordinario in Chimica agraria e membro Efsa, ha sottolineato infine il minimo impatto ambientale negativo della filiera della carne derivante dal ricorso alle “buone pratiche agricole e di trasformazione”. “La filiera della carne – conclude – è complessa, reticolata, dalle aziende di produzione mangimistica alla genetica. In questi anni la regolamentazione sull’uso dei fertilizzanti, delle biomasse e degli agrofarmaci, sulla sicurezza ambientale ha permesso di raggiungere standard qualitativi elevati in tutti i settori valorizzando la conoscenza tecnica tradizionale”.
Vito Miraglia