di Francesca Russo, Assalzoo
La forte domanda di biocarburanti è raddoppiata negli ultimi 10 anni ed è 40 volte superiore rispetto al 2006. E crescerà ancora, motivando l’allarme dell’impossibilità di sostituire i grassi animali di categoria 3 (Reg. UE n. 1069/2009) nella formulazione dei mangimi qualora dovessero diventare la principale fonte per produrre i c.d. carburanti sostenibili per l’aviazione (Sustainable Aviation Fuels – SAF).
Questo, in sintesi, potrebbe essere un aspetto contrastante con le finalità del Green Deal europeo: incentivare i biocarburanti per aerei e navi allo scopo di decarbonizzare metterebbe a rischio la produzione di pet food. E così la soluzione prospettata come vantaggiosa per l’ambiente avrebbe invece un impatto sfavorevole, o quantomeno non indifferente, soprattutto per la buona alimentazione di cani e gatti.
Un segnale di pericolo lanciato già nei mesi scorsi dall’industria di settore e condiviso dai veterinari, che spinge a cercare risposte alternative per l’ecologia dei trasporti con l’obiettivo di continuare a produrre pet food di alta qualità in UE per gli oltre 300 milioni di animali da compagnia (di cui 65 milioni in Italia, Fonte Euromonitor).
La minaccia nasce dalle seguenti valutazioni.
Attualmente quasi la metà di tutti i grassi animali europei è destinata alla produzione di biodiesel e al 2030 il consumo di biocarburanti da essi prodotti potrebbe triplicare, innescando un’importante competizione con altre industrie che ne fanno uso.
La Dir. UE 2001/2018 sull’energia rinnovabile (Red II), attuata in Italia con D. Lgs. n. 199/2021, incoraggia la produzione di grassi animali per i carburanti da trasporto, indicando le categorie 1 e 2 e assegnando il doppio del loro contenuto energetico (e quindi doppio incentivo economico) nel raggiungimento degli obiettivi. Emerge, quindi, che i grassi animali assumono valore maggiore se commercializzati come carburanti da trasporto. Di conseguenza i grassi animali di categoria 3 potrebbero essere etichettati come categorie 1 e 2 per beneficiare dei vantaggi economici riconosciuti con i doppi incentivi, andando a sminuire il valore della classificazione sanitaria e dell’utilizzo preposto stabilito dal Reg. UE n. 1069/2009.
I dati di uno studio della Federazione europea Transport & Environment suggeriscono “un significativo rischio che i grassi animali di categoria 3 siano ‘declassati’ ed etichettati come categoria 1 e 2 per poter essere utilizzati nel settore trasporti e beneficiare di un doppio incentivo economico” riconosciuto per legge. Con uno sguardo in particolare all’Italia, tale situazione potrebbe essere un campanello d’allarme poiché impieghiamo circa il 50% di tutto lo stock UE di queste materie prime “di scarto” risultando essere il principale utilizzatore di grassi animali di categoria 1 e 2 nella produzione di biodiesel (circa 440mila tonnellate raffinate solo nel 2021).
I grassi animali di categoria 3, unici ad essere ammessi in alimentazione animale, sono sostanza imprescindibile per la salute e il benessere degli animali da compagnia, e la loro disponibilità sul mercato era già scarsa e di difficile reperimento prima di questa concreta competizione con i biocarburanti.
Ovviamente, al di là di ogni impropria valutazione, queste sostanze nelle giuste proporzioni e da fonti sicure forniscono alla dieta animale nutrienti basilari che adducono importanti benefici funzionali all’organismo: in particolare, acidi grassi essenziali e molecole a supporto per mantenere un sano sistema immunitario e una cute in buono stato. Per non dimenticare gli effetti positivi anche riguardanti l’appetibilità ed il gradimento per animali dai gusti difficili o compromessi.
Pertanto l’invito che viene rivolto ai decisori politici è considerare per l’eco-trasporto il biometano e i grassi di categoria 1 e 2, non utilizzabili nella produzione di mangimi a causa di motivi sanitari. E limitare quanto più possibile l’uso dei grassi animali di categoria 3 per i biocarburanti mediante il principio dell’uso a cascata delle risorse. Tale principio stabilisce che la biomassa sia utilizzata sequenzialmente il più spesso possibile come materiale, e solo infine per l’energia. L’uso a cascata della biomassa aumenta l’efficienza nell’impiego delle risorse, l’uso sostenibile e la generazione di valore aggiunto ed è parte dell’economia circolare. Creare una maggiore efficienza nell’impiego delle risorse aumenta anche la generale disponibilità di materie prime perché la biomassa può essere utilizzata più volte.
L’intera situazione sta sollevando un importante dibattito fra le parti interessate poiché l’uso dei grassi di categoria 3 nei trasporti sarebbe greenwashing correlato ai biocarburanti (con aggiunta di incentivi economici) – aspetto che sta riguardando anche la destinazione dei sottoprodotti dell’industria agroalimentare per la produzione di mangimi per animali da produzione alimentare.
Questo neologismo, a cui dobbiamo fare attenzione, tenderebbe a definire la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o anche istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine apparentemente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente causati dalle proprie attività o propri prodotti.
Alla luce di tutte queste considerazioni la competizione fra trasporti green e pet food dovrebbe essere fortemente evitata, e confidiamo in un testo normativo europeo che minimizzi il più possibile una destinazione d’uso dei grassi di categoria 3 che non sia prima la produzione di mangimi.