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La tolleranza e’ un’incertezza estesa: quando l’aggiornamento di una norma non può prescindere dai fondamenti scientifici.

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Riassunto
Quando un dispositivo di legge viene aggiornato, potrebbero sorgere problemi di interpretazione.
Una semplice questione lessicale risulta sufficiente per mettere in dubbio l’applicazione consolidata di un impianto normativo di natura tecnica.
Ricorrere ai fondamenti scientifici che sono alla base dell’impianto normativo, può fugare ogni dubbio nell’applicazione degli aggiornamenti della norma.
Di seguito viene rappresentato un esempio che scaturisce da un cambio di regole legali sull’etichettatura di un prodotto in commercio, che ha fatto nascere dubbi sulle tolleranze fino a quel momento applicate.
I dubbi possono essere fugati ragionando sul significato tecnico-scientifico di tolleranza: questa non è altro che un’incertezza estesa.
Parole chiave: incertezza di misura, misure analitiche, conformità a limiti prescritti, soluzione di controversie sui risultati di analisi, tolleranze di legge, “ratio” della norma.

Abstract
Law revisions could cause different interpretations in the assessment of compliance with specification. It’s enough to change a simple word and many doubts can arise about the old interpretation validity.
It’s important do not forget scientific theoretical bases of technical standards.
A simple example about change legal rules of merchandise labelling, is described below.
The arisen doubt about tolerances can be eliminated, if it’s clear the technical meaning of tolerances: these are extended uncertainties.
Key words: uncertainty of measurement, analytical measurement, assessment of compliance with specification, settling disputes over analytical results, Legal Tolerances, “Ratio Legis”.

Nell’ambito delle attività di verifica analitica il chimico, come è noto, è tenuto a riferirsi alle specifiche tecniche di settore quando deve, per la verifica di uno specifico requisito merceologico, emettere un giudizio di conformità sulla rispondenza (o meno) del risultato ottenuto in sede analitica ad una “dichiarazione di etichetta”.
Le leggi di settore in genere, infatti, forniscono tolleranze da applicare ai tenori dichiarati per poter individuare gli intervalli di conformità del prodotto oggetto di analisi chimica.
Quando un dispositivo di legge però, viene aggiornato, (le leggi riflettono o almeno dovrebbero riflettere il progresso tecnologico) potrebbero sorgere problemi di interpretazione.
Problemi particolarmente cari ai “non addetti ai lavori chimici”, agli addetti a lavori squisitamente giuridici od amministrativi per i quali una semplice questione lessicale risulta sufficiente per mettere in dubbio l’applicazione consolidata di un impianto normativo di natura tecnica.
In tal caso ricorrere ai fondamenti scientifici che sono alla base dell’impianto normativo, può fugare ogni dubbio nell’applicazione degli aggiornamenti della norma e prescindere da tali fondamenti può essere un errore.
Mi spiego meglio con un esempio pratico, peraltro attuale.
Nell’ambito dell’aggiornamento normativo dei dettati legislativi mangimistici sono emerse di recente alcune novità che hanno indotto a riconsiderare le modalità di applicazione delle tolleranze finora applicate. Questo perché sono variate alcune modalità di etichettatura.
Si tratta della dichiarazione del contenuto in oligoelementi (zinco, rame, ferro, manganese), finora espresso in etichetta come elemento chimico e da ultimo esprimibile obbligatoriamente come composto chimico, ed eventualmente ammissibile come elemento.
Facciamo un esempio: per un mangime, se fino ad ieri, si dichiarava il contenuto in ferro in parti per milione (ppm), mg/Kg di elemento Fe, oggi si devono dichiarare le parti per milione di composto chimico da cui deriva detto Ferro, ad esempio il carbonato ferroso Fe CO3.
Il chimico già è consapevole che la differenza tra le due dichiarazioni consiste semplicemente in un fattore moltiplicativo f che tiene conto della composizione stechiometrica del composto chimico da cui deriva il ferro.
Ritiene quindi naturale che le fasce di tolleranza e le tolleranze ufficiali si adegueranno alle nuove disposizioni, con la moltiplicazione numerica per quel fattore moltiplicativo f.
Conviene comunque approfondire l’argomento.
La legge esprime le fasce di tolleranza e le tolleranze in “unità” generiche.
Si tratta di ppm di additivo, ovvero di carbonato ferroso FeCO3.
Consideriamo un prodotto che dichiara in etichetta un contenuto di 550 ppm di Carbonato Ferroso.
Il prodotto che contiene 550 ppm di Carbonato Ferroso ricade nella di fascia di tenori compresi tra 500 unità e 1000 unità di additivo. Risulta conforme se il suo contenuto riscontrato all’analisi rientra nell’intervallo: 450 ppm – 650 ppm di Carbonato Ferroso, ovvero pari a: 313 ppm e 217 ppm di ferro. La tolleranza prevista sul dichiarato (+/- 100), non è più quella precedente, ma è quella relativa ai contenuti più alti.
Se ragioniamo in termini di elemento ferro, il prodotto contenente 550 ppm di Carbonato Ferroso pari a 265,1 ppm di Ferro, a rigor di logica, ricadrebbe nella fascia di variabilità 1-500 unità con una tolleranza del 20% sul dichiarato: detto contenuto può variare tra 318 e 212 ppm di ferro.
I criteri di valutazione della conformità del campione che contiene 550 ppm di Carbonato Ferroso, cambiano a seconda che si valuti tale contenuto a partire dal tenore in oligoelemento espresso come composto chimico o a partire dal tenore espresso in elemento ferro.
Tenore la cui dichiarazione peraltro, è ammissibile accanto a quella obbligatoria del contenuto in composto chimico: FeCO3 550 ppm (265,1 ppm di Fe).
La dichiarazione aggiuntiva in elemento risponderebbe ad un diverso regime di tolleranza rispetto a quella obbligatoria.
Tutto ciò equivale a dire che se si esprime il contenuto di additivo in principio attivo (oligoelemento) si individuano intervalli di tolleranza più ampi di quelli individuabili se si esprime il contenuto in composto chimico.
Tale irrazionalità è nota agli operatori di settore.
Considerato che è sempre possibile, la doppia dichiarazione di additivo come composto chimico (obbligatoria) e come elemento (ammessa), dovrebbe esser chiaro che le tolleranze da applicare al dichiarato, in un caso e nell’altro, dovranno, una volta applicate, condurre allo stesso risultato di “conformità” o di “non conformità”.
Perché questo si verifichi, occorre che sia le fasce di tolleranza che le tolleranze tengano conto del suddetto fattore moltiplicativo.
In tal modo si renderà invariante il criterio di conformità indipendentemente da quale sia il principio di partenza per la valutazione: dichiarazione del composto chimico o dell’elemento.

Infatti tenendo conto del fattore moltiplicativo f=0.482 di trasformazione del composto in elemento, la dichiarazione 550 ppm di Fe CO3, pari a 265,1 ppm di Ferro ricade:
1) nella fascia di 500-1000 unità, con una tolleranza di 100, con unità intesa come ppm di additivo. Il prodotto è conforme se rientra nell’intervallo di 450-650 ppm di carbonato.
Oppure:
2) nella fascia di 500 x (0.482)-1000 x (0.482) unità, con una tolleranza di 100 x (0.482) con unità intesa come ppm di elemento. Effettuando le moltiplicazioni, il prodotto risulta conforme se rientra nell’intervallo di 313,3-216,9 ppm di Ferro (tolleranza: 48.2 ppm di Fe).
Come si può notare considerando il fattore moltiplicativo, il criterio di valutazione della conformità rimane invariato, infatti i limiti 313,3-216,9 ppm di ferro corrispondono rispettivamente ai valori limite già menzionati 450 e 650 ppm di carbonato ferroso (313.3/0.482=650, 216,9/0.482=450).
Se si riflette meglio sull’intera questione, appare chiaro come ogni dubbio sulla interpretazione delle disposizioni sulle tolleranze può essere fugato semplicemente prendendo in considerazione il fondamento tecnico-scientifico che definisce la natura della tolleranza e sulla base del quale si definisce questo particolare parametro:
la tolleranza non è altro che un incertezza estesa nella quale confluiscono più contributi dovuti alle diverse variabili di errore casuale che incidono sul valore di un determinato requisito merceologico: variabilità dovuta al processo produttivo, variabilità dovuta all’incertezza di misura associata al metodo analitico utilizzato per verificare il valore del requisito merceologico garantito e variabilità, se quantificata, dovuta ai procedimenti di campionamento.
A prescindere di come si arrivi statisticamente a sommare detti contributi, l’aritmetica ci insegna che non si possono sommare le “mele” con le “pere”, quindi la Somma dei diversi contributi, la Tolleranza, non può prescindere dal fatto che gli stessi siano espressi tutti nella stessa unità di misura.
Il metodo analitico per determinare il ferro esprime il dato finale in mg/kg di Fe, e l’incertezza di misura analitica sarà invariabilmente espressa in mg/kg di Fe (a meno che non la si trasformi appositamente). L’espressione del risultato d’analisi previsto dal metodo d’analisi ufficiale, già fornisce l’indicazione più immediata di come si possa esprimere la tolleranza: la tolleranza potrà essere espressa semplicemente in mg/kg di Fe, così come l’incertezza di misura del metodo.
Basta semplicemente trasformare il valore dichiarato in etichetta di Carbonato Ferroso in tenore di Ferro ed applicare tranquillamente la tolleranza prevista per legge, purchè il termine “unità” intesa come ppm di additivo sia trasformata in ppm di elemento.
La fascia di tolleranza e le singole tolleranze potranno essere individuate applicando ad esse la conversione da composto ad elemento mediante il fattore moltiplicativo.
Un’indicazione in questo senso avrebbe da subito reso più chiara e immediatamente fruibile l’applicazione delle norma, soprattutto per chi fa l’analisi di laboratorio che deve applicare i criteri di conformità a partire dal risultato d’analisi.
Resta solo da fare una considerazione: il fine delle nuove regole è quello di assicurare che l’aggiunta dell’elemento nutritivo, rame, ferro, zinco, manganese, avvenga in purezza, secondo determinati standard di qualità che dipendono anche dal tipo di composto che reca l’elemento e dalla sua origine.
Gli oligoelementi in realtà, potrebbero anche derivare dal riutilizzo di scarti di fabbricazione industriale di più svariata provenienza, di scarsa purezza merceologica, magari inadatti ad essere aggiunti come tali ad un prodotto alimentare, anche se semplicemente destinato all’alimentazione animale.

Bibliografia:
(1) Regolamento (UE) N. 767/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009 sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi.
(2) Regolamento (UE) N. 939/2010 della Commissione del 20 ottobre 2010 che modifica l’allegato IV del Regolamento (CE) n. 767/2009 per quanto concerne le tolleranze ammesse per l’etichettatura riguardante la composizione delle materie prime per mangimi o dei mangimi composti.

 

Foto: © Gajus_Fotolia

Rita Maria Maestro – ICQRF – Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei Prodotti Agro-Alimentari – MIPAAF – Laboratorio centrale di Roma