L’alimentazione al pascolo
Il pascolo è un ecosistema fortemente antropizzato, costituito da componenti che sono a loro volta sistemi complessi (animale, vegetazione, suolo, atmosfera). L’animale e il pascolo hanno una forte interazione fra loro: il primo regola la propria ingestione di erba a seconda della quantità e qualità del pascolo, quest’ultimo cresce in funzione alla pressione di pascolamento (Molle e Cannas, 2015). L’allevatore ha il difficile compito di monitoraree gestire lo sviluppo del pascolo e il suo utilizzo da parte degli animali, applicando le migliori tecniche disponibili al fine di ottenere la massima efficienza alimentare del proprio gregge. È compito dell’allevatore tenere conto delle esigenze di animali e pascolo e, in funzione di queste, decidere e attuare le più equilibrate strategie gestionali. Per poter gestire al meglio la risorsa pascolo è necessario una conoscenza da parte dell’allevatore del comportamento alimentare dell’animale, della composizione e della variazione dell’erba durante il ciclo produttivo e della risposta animale alla alimentazione con erba da pascolo. L’erba infatti, è un alimento in divenire, che modifica che cambia in quantità e qualità continuamente. Dal punto di vista del razionamento è considerato l’alimento più economico e di maggior valore nutrizionale: quando è giovane, il suo valore energetico (UFL per kg di sostanza secca) è simile a quello di un concentrato ma il suo costo, a parità di valore nutritivo, è nettamente inferiore a quello dei concentrati. Un foraggio pascolato è effettivamente più conveniente rispetto a un concentrato o ad un foraggio affienato quanto più alta è la biomassa prodotta per ettaro e quanto maggiore è la sua qualità (Molle e Decandia 2013).
A causa della variabilità nella quantità e qualità dell’erba disponibile (Figura 1) e della necessità di evitare che essa comporti carenze o eccessi nutrizionali, negli allevamenti ovini da latte è pratica comune integrare l’alimentazione al pascolo con la somministrazione di foraggi conservati (fieni o insilati) e con alimenti concentrati. L’alimentazione con sola erba può portare infatti a forti carenze nutrizionali quando l’erba disponibile è troppo giovane,in stadio di maturazione avanzato oppure quando è disponibile in quantità limitata.Nel caso di erba molto giovane l’elevato contenuto in proteina solubile può causare problemi metabolici legati principalmente all’eccesso proteico, in caso di stadio di maturazione avanzato o limitata disponibilità l’apporto di nutrienti potrebbe essere non sufficiente alla copertura dei fabbisogni energetici e proteici dell’animale.
In particolare negli ovini da latte la maggior parte delle difficoltà di bilanciare l’uso del pascolo nella dieta per gli ovini si verificano con erbe in stadio fenologico giovanile, disponibili nel periodo di fine inverno e inizio primavera. In questa fase il gregge ha generalmente elevati fabbisogni alimentari dovuti a elevati livelli produttivi e l’erba è ricca in proteina solubile e le frazioni fibrose sono velocemente degradabili. Massimizzare l’ingestione di erba in questi casi vuol dire spesso esporre gli animali a eccessi proteici che sono associati a numerose dismetabolie e problemi sanitari, tra cui diarree, affaticamento del fegato e riduzione delle difese immunitarie oltre a maggiore incidenza di zoppie, mastiti, edemi mammari, con animali nel complesso più deboli e meno produttivi. Nel caso in cui gli eccessi proteici avvengano nel periodo della monta (pascolamento su leguminose irrigue) si riscontrano anche problemi di minore fertilità o rissorbimenti embrionali.I maggiori problemi sono causati da due fattori principali: il primo è il fatto che l’eccesso proteico causa un elevato richiamo di liquidi nel lume intestinale, che è la principale causa delle feci molli e delle diarree, le quali a loro volta favoriscono la proliferazione di microrganismi patogeni, il contagio tra animali e la contaminazione del latte. Il secondo è che la degradazione delle proteine a livello ruminale che comporta la produzione di elevate quantità di ammoniaca che in levate concentrazioni è una molecola fortemente tossica per l’organismo. Al fine di ridurre tale effetto l’ammoniaca è trasformata nel fegato in urea che viene poi smaltita con l’escrezione urinaria. A eccesso proteico nella dieta corrisponde una maggiore concentrazione di urea nel latte e nel plasma degli animali. L’urea è una molecola molto piccola e solubile, la cui produzione nel fegato ha un costo energetico molto elevato,e la sua concentrazione nel plasma ha una correlazione negativa con la fertilità (Ferguson e Chalupa, 1989). Una piccola quota di urea passa anche nel latte infatti risulta essere uno dei principali indicatori nutrizionali per l’alimentazione degli animali al pascolo (Cannas et al., 2001; Tabella 1). Anche la qualità del latte viene influenzata da diete troppo ricche di proteine e carenti di fibra: più basso tenore in grasso e proteine, aumento dell’urea, delle cellule somatiche e della carica batterica, con conseguente diminuzione della resa alla caseificazione (Nuddaet al, 2001).
L’elevato contenuto in proteine è frequente sia nelle leguminose che nelle graminacee.Su questeultime, in particolare, la concentrazione di proteina è spessomolto più elevata di quanto in genere non si creda. Infatti, piante in stadio giovanile e soprattutto in quelle recentemente sottoposte a delle concimazioni azotate le concentrazioni in proteina grezza raggiungono mediamente il 25% e arrivano ad oltre il 35%. Per di più, una buona metà diqueste proteine è di tipo solubile e fermenta nell’ora successiva all’ingestione. In queste condizioni molto spesso le pecore al pascolo assumonoanche più del doppio della proteina necessaria a soddisfare i fabbisogniproteici(Cannas, 2001).
Per ovviare al problema dell’eccesso proteico la soluzione più immediata praticata dall’allevatore è quella di ridurre al minimo il pascolamento, specialmente durante i periodi in cui l’erba è giovane e ricca di proteine o sono presenti nei pascoli molte leguminose;con questo approccio il tempo di pascolamento si riduce notevolmente, fino a un’ora, o mezzora,per due volte al giorno. Questo comporta inevitabilmente la sostituzione del pascolo con altri alimenti, per cui maggiore uso di concentrati e fieni, aziendali o acquistati sul mercato. Come detto precedentemente, il pascolo, se di buona qualità e se gestito in maniera razionale, rappresenta l’alimento più economico e di maggior valore nutrizionale a disposizione dell’allevatore, per cui una riduzione nell’utilizzo dello stesso potrebbe causare una inefficienza economicaper aumento del costo razione oltre che uno spreco di scorte. Inoltre, come dimostrato da diversi studi, la qualità del latte migliora in maniera sostanziale se gli animali hanno accesso all’erba (Nudda et al. 2014).
E’ quindi necessario trovare dei sistemi razionali di gestione del pascolamento che da un lato consentano di evitare le conseguenze dovute a un eccesso di proteina della dieta e dall’altro di ottimizzare massimizzare il consumo di erba da pascolo per ridurre i costi della razione e l’uso di fieni e alimenti concentrati. Una di queste tecniche è quella di integrazione alimentare pre-pascolo chiamata del “terzo pasto”.
Tecnica del terzo pasto
Da diversi anni si è diffusa negli allevamenti di ovini da latte l’introduzione nella dieta alimentare del cosiddetto terzo pasto. Tale tecnica prevede sia accorgimenti dal punto di vista gestionale che alimentare.
Le pecore vengono mandate al pascoloa fine mattina per evitare l’ingestione di erba bagnata dalla rugiada. Durante il tempo di attesa intercorso tra la mungitura el’inizio del pascolamento le pecore stanno generalmente a digiuno per diverse ore, pertanto può essere molto utile eseguire una somministrazione aggiuntiva di alimenti ricchi di carboidrati amilacei e/o di fibra digeribile, e poveri in proteine per favorire la produzione del latte giornaliera. Infatti, l’introduzione della tecnica del terzo pasto porta grandi vantaggi: i) riduce la fame delle pecore, evitando che nelle prime ore di pascolamento queste ingeriscano quantità eccessive di erba e, quindi, di proteine; ii) apporta carboidrati velocemente degradabili che forniscono ai batteri del rumine energia sufficiente per trasformare le proteine dell’erba in proteina microbica; iii) consente di diluire in un numero maggiore di pasti le integrazioni alimentari.
Da un punto di vista della somministrazione alimentare il terzo pasto potrebbe essere il momento più adatto per fornire l’integrazione adeguata per massimizzare l’ingestione e l’efficienza di utilizzazione dell’erba, sia in termini quantitativi che di sincronizzazione delle fermentazioni ruminali.
L’adozione del terzo pasto non comporta obbligatoriamente (anche se potrebbe consentirlo) un uso di maggiori quantità di alimenti somministrati. Se, ad esempio, si somministrano 300 grammi di concentrato per mungitura, con la stessa quantità giornaliera si possono fare 3 pasti (le due mungiture + il terzo pasto prima del ingresso al pascolo) da 200 grammi ciascuno. Diverse aziende ovine da latte ormai adottano questa tecnica con ottimi risultati produttivi e sanitari (Cannas, 2001).
Riepilogando, i vantaggi offerti dal terzo pasto possono essere così riassunti:
– creare un certo livello di sazietà negli animali;
– fornire l’energia necessaria all’attivazione dei batteri che trasformano in modo efficiente l’azoto all’interno del rumine
– ridurre gli effetti negativi dell’eccesso proteico
– massimizzare l’ingestione
– utilizzare l’erba dei pascoli in maniera più efficiente
Come terzo pasto sarebbe utile la somministrazione di carboidrati amilacei o ricchi in fibra digeribile, tuttavia i secondi sono da preferire per il ridotto rischio di acidosi e l’apporto di fibra ruminabile. Uno degli alimenti più utilizzati e riconosciuti adeguati per l’integrazione di terzo pasto sonole polpe di barbabietola. Le polpe di bietola hanno un contenuto energetico pari a circa l’85% della granella di mais ma con simile contenuto proteico. L’elevato valore nutritivo delle polpe di barbabietola è dovuto alla elevata quantità di carboidrati strutturali (pectina, emicellulosa e cellulosa) velocemente fermentescibili. Le pectine, molto presenti nelle polpe, hanno la caratteristica di fermentare nel rumine principalmente in acetato, senza stimolare la produzione di propionato e acido lattico e, grazie anche all’elevata capacità di scambio cationico, hanno un elevato effetto tampone che riduce il rischio in di acidosi (Evans eMesserschmidt, 2017). Inoltre contribuiscono ad aumentare la somministrazione di fibra strutturata che favorisce la ruminazione dell’erba.Le polpe di bietola, sono molto spesso disponibili in forma di pellet epresentano, i seguenti svantaggi nella pratica aziendale:
– spesso sono molto dure e poco ingeribili, occorre bagnarle prima dell’uso
– richiedono un certo impegno di tempo e manodopera per la preparazione e distribuzione
– la somministrazione di substrati umidi in mangiatoia favorisce la proliferazione di muffe
– sono fortemente sbilanciate nel contenuto minerale (Ca:P=13:1)
– spesso la qualità del prodotto è variabile (diversa composizione chimica).
Mangimistica e terzo pasto
Nel paragrafo precedente sono state evidenziate le potenzialità delle polpe di barbabietola come alimento da utilizzare per il terzo pasto. Esistono anche altri co-prodotti dell’industria agroalimentare che per caratteristiche potrebbero essere utilizzati a questo scopo, come le buccette di soia o il pastazzo di agrumi o altri co-prodotti del settore ortofrutticolo o dell’industria agroalimentare con elevato contenuto di fibra digeribile (soprattutto pectine).
La tecnica mangimistica potrebbe favorire notevolmente le potenzialità del terzo pasto. Infatti non è escluso che una combinazione adeguata di materie prime consenta di ottenere ulteriori benefici dal terzo pasto, soprattutto per la sincronizzazione delle fermentazioni ruminali durante le ore di pascolamento. Utilizzare diverse combinazioni di carboidrati amilacei e fibrosi di diversa velocità di degradazione, da utilizzare nel terzo pastodegliovini potrebbe consentire di fornire al microbiota ruminale substrati energetici fermentescibili da fermentare in un intervallo lungo abbastanza per sfruttare le proteine solubili del pascolo edi prolungare il tempo di pascolamento su pascoli di erba molto giovane o prati di leguminose. La composizione della miscela dovrebbe variare in funzione della qualità dell’erba. A tal proposito sono attualmente in corso degli studi presso la Sezione di Scienze Zootecniche del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari per identificare le combinazioni di carboidrati più adeguate per l’integrazione del pascolo con la tecnica del terzo pasto al fine di aumentare la produzione degli animali massimizzando l’ingestione di erba e riducendo i danni da eccessi proteici. Oltre al discorso legato alla miscela di materie prime, un ulteriore contributo potrebbe essere fornito dalla formulazione di mangimi complementari specifici con l’eliminazione degli svantaggi offerti dall’utilizzo da una sola materia prima, come descritto a proposito delle polpe di bietola o dalla gestione di materie prime multiple in azienda. Questo si otterrebbe in aggiunta ai vantaggi derivati dai trattamenti meccanicie termici e che hanno effetti sulla degradabilità ruminaledelle proteine,sulla velocità di degradazione degli amidi, sulla qualità sanitaria e sulla possibilità di inclusione di integrazioni minerali e vitaminiche.
L’utilizzo del terzo pasto in questi termini dovrebbe portare ad un aumento della ingestione totale giornaliera di erba che potrebbe: andare a vantaggio della produttività dell’allevamento (aumento della ingestione totale e maggiore produzione di latte) o della riduzione dei costi di alimentazione (aumento della ingestione di erba, possibilità di riduzione della supplementazione di fieni e concentrati senza nessuna variazione della produzione di latte). In entrambi i casi è atteso un aumento della redditività del gregge. I co-prodotti sono in genere più economici delle granelle di cereali e leguminose, per cui il loro utilizzo dovrebbe ridurre ulteriormente il costo razione.
Massimizzando l’ingestione di erba e utilizzandodiversi co-prodotti dell’agroalimentare nella formulazione di miscele e mangimi complementari, oltre a migliorare le performance animali, si contribuirebbe notevolmente alle performance ambientali del settore zootecnico (Capper et al., 2013). Infatti,i co-prodotti agroalimentari in genere esoprattutto quelli fibrosi per l’alimentazione dei ruminanti, sostituisconoparte di concentrati (quali il mais, la soia, cereali e altre granelle) utilizzabili per l’alimentazione umana. Questo genera come beneficio la riduzione della competizione tra uso di alimenti per l’uomo e per gli animali (competizione food-feed) in termini diretti sui mercati degli alimenti e in termini indiretti sull’uso della terra da destinare a colture per l’alimentazione umana o animale. L’uso di co-prodotti agroalimentari consente inoltre di ridurre le emissioni di gas serra della produzione di latte e carne in quanto le emissioni di produzione di un co-prodotto sono di gran lunga inferiori rispetto alle emissioni delle principali colture zootecniche per la produzione di fieni e granelle.
Conclusioni
Il ricorso al terzo pasto offre diversi vantaggi per lo stato sanitario degli animali e per la ottimizzazione della risorsa pascolo. In genere vengono utilizzate a questo scopo le polpe di bietola che presentano diversi problemi di gestione per la loro preparazione e per i limiti dell’uso di una sola materia prima. L’approfondimento del ruolo dei carboidrati di diversa origine (fibrosi o amilacei) e a diversa velocità di degradazione ruminale consentirà di identificare la migliore combinazione di alimenti da terzo pasto. Unaformulazione corretta del terzo pasto prima del pascolamento dovrebbe massimizzare l’ingestione di erba al pascolo e ridurre i danni da eccesso proteico oltre che favorire la riduzione dell’uso di fieni e concentrati senza perdite di produzione. L’uso dei co-prodotti dell’industria agroalimentare, in generale nella alimentazione zootecnica e in funzione a questi obiettivi, presenta numerosi vantaggi per un aumento delle performance del settore in termini economici, in termini ambientali e per la riduzione della competizione nell’uso delle risorse naturali per l’alimentazione umana e animale.
Foto: Pixabay Filippo Boe, Alberto Stanislao Atzori, Cannas Antonello