Allevatori italiani in crisi. Le forti tensioni sui prezzi dei mangimi, riconducibili all’incremento dei prezzi delle materie prime, accanto a una domanda nazionale ed estera poco dinamica stanno mettendo a dura prova la redditività del settore. Ad aprile produrre 100 kg di latte è costato agli allevatori oltre 30 euro al Kg, stimando solo ed esclusivamente l’esborso per la razione alimentare. Al contrario, il prezzo del latte alla stalla rimane di poco inferiore ai 36 euro negli allevamenti lombardi, i più rappresentativi a livello nazionale. Lo rileva l’Ismea nel suo report Tendenze relativo al lattiero-caseario.
L’impennata dei prezzi della soia (664 €/ton ad aprile, + 78% rispetto allo stesso mese del 2020) e del mais (233 €/ton ad aprile, + 36% rispetto al 2020), che prosegue da mesi e non accenna ad arrestarsi, sta gravando pesantemente sui costi per l’alimentazione animale e di conseguenza sui bilanci delle aziende. L’indice Ismea dei prezzi degli input produttivi ha registrato nel primo quadrimestre un rialzo di oltre il 4% su base annua ascrivibile esclusivamente ai rincari dei mangimi (+7%) sulla scorta di questa tendenza rialzista delle quotazioni delle commodities agricole. Rincari che stanno spingendo gli allevatori a frenare la produzione di latte come si evince dal dato del primo quadrimestre che segna +0,4% sul corrispondente periodo del 2020, dopo il balzo registrato del 4,4% registrato nel 2020.
Un recente aggiornamento Ismea sull’andamento dei prezzi dei cereali e della soia ha evidenziato rincari ulteriori anche nel mese di maggio. Il mais ha raggiunto la quotazione record di 266,61 euro/t (+52% su maggio 2020 e +14% su aprile 2021): non solo il valore più elevato degli ultimi 15 anni ma anche il livello mai raggiunto da quando l’Ismea ha iniziato a rilevare i prezzi nel 1993. Per la soia, sempre a maggio, si sono raggiunti i 695,17 euro/t (+83% su maggio 2020 e +4,7% su aprile 2021), anche in questo caso si tratta del prezzo più elevato osservato dall’Ismea a partire dal 1993.
Una situazione complessa anche sul fronte dei ricavi, che risentono di una domanda poco tonica sul mercato domestico e di un export che stenta a ripartire in avvio d’anno a causa del persistere delle chiusure del food service. Nei primi due mesi del 2021 le esportazioni di formaggi e latticini hanno evidenziato un -8,4%% in volume e -9,3% in valore nel confronto con i primi due mesi dell’anno precedente, con un lieve ma preoccupante calo sul fronte dei prezzi medi in uscita. La dinamica negativa ha riguardato tutti i prodotti storicamente più esportati: Grana Padano e Parmigiano Reggiano (-16,7% in volume e -14,1% in valore), Gorgonzola (-10,7% in volume e -8,8% in valore), mozzarella (-4,6% in volume e -5,5% in valore) e formaggi grattugiati (-5,7% in volume e -6,5% in valore).
Le perdite hanno interessato i principali mercati di sbocco comunitari (-6,1% in volume e -7,5% in valore), ma fuori dai confini UE la contrazione è stata molto intensa con una vera e propria frenata per le due principali destinazioni, Regno Unito e Stati Uniti che hanno totalizzato rispettivamente -35% e -21% in volume (-30% e -23% in valore).
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