Direttrice Caramelli, da molti anni la filiera delle carni rosse è al centro dell’attenzione da parte dell’opinione pubblica. E le istituzioni hanno risposto a ciò con un rafforzamento delle catene di controllo. Come si configura a oggi il sistema di sorveglianza rispetto alla produzione di carni rosse?
Quando portiamo in tavola un prodotto di origine animale, e nello specifico, un prodotto carneo, dobbiamo immaginare un susseguirsi di controlli e verifiche per garantire che quel prodotto sia conforme a requisiti di sicurezza, di igiene, nonché etici.
Per questo motivo i controlli si articolano lungo tutta la filiera produttiva e le verifiche iniziano dalle produzioni agricole, dai foraggi che costituiscono i mangimi ad uso zootecnico e proseguono in ogni fase di trasformazione successiva. Il principio “dal campo alla tavola” che contraddistingue l’approccio europeo, e soprattutto italiano, in tema di sicurezza alimentare non è soltanto uno slogan di successo, ma è una reale procedura applicata a tutela della salute del consumatore.
Legata alla questione dei controlli normativi, c’è quella del benessere animale (altro tema al centro del dibattito pubblico). Come può considerarsi rispetto a ciò la situazione degli allevamenti bovini, equini e ovino-caprini italiani?
Ecco perché dicevo che le autorità competenti in materia di sicurezza alimentare verificano anche criteri etici del cibo che arriva sulla nostra tavola. Con l’inizio dell’allevamento intensivo, era diminuito in molti casi, il rispetto di regole etiche ed etologiche per garantire uno stato di benessere fisico e psicologico degli animali allevati. La trasformazione di allevamenti pre-esistenti in allevamenti di tipo intensivo non era passata attraverso le modifiche strutturali necessarie, ad esempio, ad ospitare più animali o esemplari con attitudini diverse da quelli prima ospitati negli allevamenti. L’Unione Europea ha presto posto vincoli molto precisi per l’adattamento delle vecchie strutture e per la costruzione delle nuove. Agli animali negli allevamenti intensivi, oggi, sono garantiti standard di benessere elevati: dallo spazio per singolo animale, alla tipologia di lettiera, o alle regole per il trasporto, al numero di mangiatoie o abbeveratoi disponibili per gruppo, ognuno di questi parametri e molti altri, sono verificati durante i sopralluoghi nelle aziende da parte dei colleghi veterinari delle ASL o da parte di altri organi di controllo.
Certo, esistono ancora situazioni migliorabili, non voglio dire che non ci siano: ma a fronte di questi pochi casi, in cui il fattore economico spinge ad esempio ad ammassare vitelli in piccoli box o a non sostituire regolarmente la lettiera, è giusto invece ricordare quanti allevatori virtuosi applicano con successo i criteri che garantiscono un benessere fisico e psicologico ai propri animali.
Oltre al tema del benessere, c’è quello propriamente sanitario: qual è la condizione di salute degli animali da allevamenti? Ci sono rischi particolari? Il livello delle cure è appropriato o eccessivo?
Non direi che sono temi così diversi, anzi. Il tema del benessere animale e della salute degli animali sono strettamente correlati. E’ facile capire che se la lettiera non è sostituita regolarmente o se le zone dove gli animali si coricano sono troppo corti, saranno più frequenti le patologie ai piedi o le ferite nelle zone di appoggio; o ancora se nei box sono presenti troppi animali, o se la ventilazione delle stalle non è adeguata, saranno più frequenti patologie dell’apparato respiratorio… e così via, potremmo fare decine di altri esempi di malattie variamente correlate a un livello di benessere non ottimale. Ovviamente, le patologie possono insorgere anche in allevamenti modello dal punto di vista del benessere: è indubbio che le patologie vadano trattate prontamente, secondo le prescrizioni di un Medico Veterinario. E in Italia le nostre facoltà sono eccellenti per formare professionisti preparati. Il livello delle cure deve essere confacente al reale bisogno del capo malato: i trattamenti preventivi con farmaci sono vietati ormai da anni, e la tendenza è ora di trattare il singolo capo e non il gruppo a meno che non si tratti di una necessità confermata dal medico veterinario.
Il quadro normativo e sanitario ha come ultima istanza quella di offrire un prodotto di qualità al consumatore. Le carni rosse prodotte in Italia sono una garanzia in tal senso? Ci sono differenze con quelle importate dall’estero?
Il quadro normativo europeo che si è andato delineando negli ultimi due decenni ha sempre avuto come obiettivo principale la tutela del consumatore finale, attraverso i controlli dell’intera filiera agroalimentare. Le carni rosse sono a pieno titolo tra gli alimenti che i consumatori onnivori prediligono e scelgono di portare tavola regolarmente. Esse derivano da una filiera garantita in ogni suo step produttivo, dai foraggi impiegati nei mangimi, fino alle pratiche igieniche della gastronomia sotto casa che ci offre l’arrosto già cotto.
Per garantire un livello di sicurezza uniforme in tutti gli Stati Membri, le norme in materie di sicurezza alimentare sono rappresentate quasi sempre da Regolamenti, tipologie di atti normativi che lasciano poco spazio di azione ai governi nazionali in termini di recepimento. Questo significa che all’interno dell’Unione Europea, il livello di sicurezza offerto ai consumatori dovrebbe essere lo stesso nei 27 Stati Membri. E questo dovrebbe valere anche per le importazioni da paesi terzi, i cui prodotti, per entrare nel mercato dell’Unione, devono rispettare i requisiti europei. Se i criteri minimi sono definiti in maniera rigorosa dai regolamenti europei, il numero di controlli addizionali o i piani aggiuntivi di sorveglianza possono essere definiti dalle Autorità Competenti Nazionali: e in questo l’Italia è davvero prima delle classe sia per numero di controlli addizionali (fino al 30% in più ad esempio nella ricerca di residui di farmaci o di ormoni non autorizzati) e per piani speciali di sorveglianza, ad esempio per piatti della tradizione agroalimentare nazionale, come carpacci o prodotti trasformati di salumeria.
Salvatore Patriarca