Tradizione e progresso. C’è una filosofia di fondo che sorregge ancora oggi l’impresa italiana, nello specifico mangimistica, come Massimo Ferrero l’ha pensata e voluta per proiettare la sua nel futuro: “Ricercare il progresso degli allevatori”. Una filosofia che è impressa a fuoco nel Dna della Ferrero Mangimi Spa, che l’imprenditore, scomparso il 27 agosto di quest’anno a 57 anni, ha guidato fino a farla diventare un’impresa leader a livello nazionale: il picco di 4 milioni di quintali di mangimi prodotti in un anno, 120 milioni di fatturato, sedi a Cavallerleone, Fossano, Racconigi nel cuneese e ancora Brescia, Bergamo, fino a Fasano, in provincia di Brindisi, e a Farigliano, cittadina da cui tutto è nato nel 1959 e di cui Ferrero era originario.
Un gruppo più grande, i nuovi stabilimenti, nuove attività, anche nel campo delle energie rinnovabili, hanno il cuore in quella terra di confine, ma si sono ormai allargate da tempo a tutto il territorio nazionale e all’estero. E Ferrero non aveva mai voluto “spezzettarle”. Lo diceva in un’intervista al Sole24Ore del 2011 e a sostegno di questa sua convinzione, persino in controtendenza, offriva una inossidabile lezione manageriale: “È vero che è impegnativo avere il collegio sindacale con cui confrontarsi – diceva Ferrero – e il revisore che spulcia il bilancio, ma è vero che se uno spezzetta la sua impresa in più società minori perde coesione industriale e capacità di controllo”. Questione di efficienza, quindi: i minori obblighi sul piano della governance non compensano gli alti costi del controllo di gestione.
Le origini – L’azienda nasce per opera del capostipite Giacomo Ferrero a Farigliano, confine delle Langhe, segnato dolcemente dalle curve del fiume Tanaro. Terra di confine, ma ricca di risorse. Gli abitanti di Farigliano sono amichevolmente chiamati i “Gatt Ross” (Gatti Rossi) per il loro carattere aperto e gioviale. Il gatto rosso è il simbolo di questi luoghi. Sensibilità all’innovazione e apertura al cliente. Sacra in quei posti. Il pallino di Ferrero, trasfuso nell’attività aziendale: “L’assistenza ai clienti” è un plus commerciale. Non solo vendita, ma un vero scambio di saperi che fa crescere produttore e allevatore. Fornire soluzioni è insieme tradizione e progresso. Lo sviluppo di tecnologie informatiche, di software personalizzati per supportare l’attività zootecnica, i problemi pratici di chi ogni giorno si confronta con gli animali, ha accompagnato la vision della Ferrero Mangimi. E ne è punto di forza attuale. “Riteniamo che l’unione tra le tecnologie avanzate di cui siamo dotati e la nostra storia cinquantennale sia la migliore risposta alla domanda di collaborazione proveniente dalla zootecnia”. Così Ferrero. In altre parole, il lavoro del mangimista.
Risorse per crescere – Nel 1995, anno dell’acquisizione del secondo stabilimento a Cavallerleone (CN). I manager del gruppo decisero di separare le produzioni: a Farigliano solo mangimi per ruminanti e, nel nuovo insediamento, solo mangimi per suini. Una specializzazione produttiva assolutamente unica per quell’epoca. Le successive acquisizioni hanno rafforzato questa direttrice. Ancora in provincia di Cuneo è lo stabilimento di Fossano rilevato nel 2000. Poi il salto produttivo tra il 2003 e il 2004 con la sede produttiva di Fasano, nel brindisino, e di Urgnano, a un passo di Bergamo. Ferrero Mangimi cresce, dal milione di quintali prodotti nel 1995 ai 3,5–4 milioni. Da 2011 ha uno stabilimento anche in Spagna, nelle vicinanze di Segovia.
L’idea di Ferrero si consolida – La formazione è uno dei pilastri di questo progetto, sosteneva il titolare dell’azienda presentando la prima edizione del Master biennale dedicato a formare giovani leve, professionisti e consulenti, per il mondo della zootecnia “Qualità, sicurezza alimentare e sostenibilità della filiera latte” promosso dall’Università degli Studi di Torino e finanziato tra gli altri da Ferrero Mangimi. Affiancare giovani professionisti con mezzi idonei a conseguire risultati produttivi migliori vuol dire il progresso nel solco della tradizione. Strumenti messi a disposizione di una cultura della filiera agroalimentare per il quale l’imprenditore di Farigliano si è sempre battuto: “Oggi il mercato chiede di più per competere, la qualità e la sicurezza dei prodotti. I caseifici pagano la qualità del latte, che non è solo proteine, grassi, ma molto altro. Per questo un allevatore consapevole è un allevatore che lavora meglio”.
Cosimo Colasanto