Il 20 luglio si è tenuto a Roma, presso il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf), il “Tavolo nazionale della filiera cerealicola”. Nel corso della riunione, sono stati affrontati diversi temi, come l’andamento del mercato nazionale, le prospettive di breve e medio periodo e le azioni di contrasto alla crisi del settore. All’incontro hanno preso parte i rappresentanti delle Regioni, delle organizzazioni agricole, delle imprese di trasformazione, di commercializzazione e dell’industria mangimistica.
Le proposte del Ministero – La riunione è stata presieduta dal Ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, che ha definito il fondo da 10 milioni di euro, inserito nel decreto legge sugli enti locali, “un primo stanziamento per dare avvio a un organico piano nazionale cerealicolo e sostenere investimenti anche infrastrutturali per valorizzare il grano di qualità 100% italiano”. Inoltre, Martina ha proposto la creazione di una Commissione unica nazionale per il grano duro, incaricata di favorire il dialogo interprofessionale e rendere la formazione del prezzo più trasparente. Il Ministro ha anche illustrato gli altri progetti del Mipaaf sul futuro del settore, che prevedono: la conferma degli aiuti accoppiati della Pac per il frumento duro, che equivalgono a circa 70 milioni di euro l’anno fino al 2020, per un totale di quasi 500 milioni in 7 anni di programmazione; il rafforzamento dei contratti di filiera; l’introduzione di un marchio unico volontario per il grano e per i prodotti trasformati, allo scopo di dare maggiore valore al grano di qualità certificata; la sperimentazione di un nuovo strumento assicurativo per garantire i ricavi dei produttori proteggendoli dalle eccessive fluttuazioni di mercato.
La posizione di Confagricoltura: servono più fondi – Anche se valuta positivamente lo stanziamento di 10 milioni di euro per gli investimenti nella logistica, Confagricoltura sottolinea la necessità d’incrementare gli stanziamenti a favore della produzione nazionale. “Si è partiti con il piede giusto, ma serviranno investimenti più cospicui che dovranno andare a beneficio del prodotto nazionale e non certo di quello importato – ha affermato l’organizzazione -. Il settore cerealicolo si rafforza e rilancia con iniziative a medio e lungo termine, senza dimenticare però la fase attuale di emergenza in cui si registrano ricavi al di sotto del punto di pareggio del conto colturale; la situazione critica riguarda il grano duro ma anche quello tenero ed in generale l’intero comparto cerealicolo”.
La protesta di Coldiretti: continua la guerra del grano – “Abbiamo ottenuto primi risultati, ma la guerra del grano continua per dare dignità al lavoro nei campi, perché è inaccettabile che oggi occorra produrre cinque chili di grano per permettersi una tazzina di caffè”. Lo ha affermato Roberto Moncalvo, Presidente di Coldiretti, evidenziando la riduzione del prezzo dei cereali a pochi centesimi al chilo: da questa quotazione esigua, “dipende la sopravvivenza di centinaia di migliaia di imprese agricole, ma anche il futuro del 15% del territorio agricolo nazionale che l’Italia deve difendere dagli speculatori”. Tuttavia, il Presidente ha anche mostrato apprezzamento nei confronti del lavoro del Ministero: “Le analisi ministeriali hanno anche permesso di smascherare la speculazioni in atto sul prezzo dei grano che colpisce soprattutto i coltivatori italiani con i prezzi che sono praticamente dimezzati rispetto allo scorso anno per il grano duro”. Ha sottolineato, inoltre, la necessità di migliorare la trasparenza sul mercato, attraverso l’introduzione dell’obbligo d’indicare in etichetta l’origine del grano impiegato nella pasta e nel pane. Infine, ha dichiarato che occorre estendere i controlli a tutti gli arrivi da paesi extracomunitari in cui sono utilizzati prodotti fitosanitari vietati nell’UE.
Risposte del Ministero “parziali e tardive” secondo Cia – Anche se vanno nella giusta direzione, le misure annunciate dal Mipaaf potrebbero essere insufficienti e potrebbero essere arrivate troppo tardi. Lo ha dichiarato Cia-agricoltori italiani, secondo cui i produttori di grano sono oggetto di un’azione speculativa senza precedenti: il grano duro è pagato 18 euro al quintale, una cifra largamente al di sotto dei costi produttivi, che comporta perdite fino al 50% rispetto alla scorsa campagna di commercializzazione. “Senza un’inversione di marcia sui prezzi pagati agli agricoltori e senza un freno immediato alle importazioni ‘spregiudicate’ dall’estero, il rischio che si corre è quello di una progressiva marginalizzazione della produzione di grano, in un paese che, paradossalmente, esporta il 50% della pasta che produce – ha affermato l’organizzazione -. È necessario incentivare da subito accordi e contratti di filiera capaci di garantire una più equa redistribuzione del valore e ottenere la massima trasparenza nella formazione del prezzo. Misure non più rinviabili per permettere un cambio di passo e sostenere la redditività degli agricoltori”.
Italmopa: non bisogna demonizzazione le aziende molitorie – Additare le aziende molitorie italiane come “capro espiatorio” non aiuterà a risolvere la crisi che sta attraversando il comparto cerealicolo nazionale. Lo ha dichiarato Ivano Vacondio, Presidente di Italmopa, evidenziando che “le aziende molitorie sono anch’esse particolarmente penalizzate dalla situazione attuale tenuto conto della svalutazione delle loro scorte e della riduzione dei fatturati riconducibile alla riduzione delle quotazioni degli sfarinati”. Secondo il Presidente, la prima mossa da fare consiste nel contribuire “all’ampliamento e all’ammodernamento delle strutture di stoccaggio, attualmente inadeguate a far fronte alle esigenze della produzione agricola e dell’industria della trasformazione”.
Conclusioni
La convocazione del Tavolo Cerealicolo è stata determinata, in questa occasione, soprattutto dalla difficile situazione di mercato del grano duro, quale materia prima fondamentale per un prodotto simbolo del made in Italy alimentare. Tuttavia , il problema è sicuramente molto più ampio ed è comune a tutti i cereali, tra i quali non va dimenticato il mais prima coltura cerealicola nazionale, di cui in pochi anni l’Italia ha perso circa il 40% della sua produzione.
Una situazione diventata grave, perché non offre soluzioni agli agricoltori ed aumenta in modo considerevole la dipendenza dall’estero del nostro Paese. I punti critici che affliggono la nostra cerealicoltura sono parecchi:
– la PAC in cui si è preferito il disaccoppiamento degli aiuti e l’istituzione di un sistema che ha caratteristiche più assistenziali che di sostegno alla produzione agricola;
– la grave e oramai cronica carenza competitiva degli agricoltori italiani rispetto ai principali concorrenti europei e mondiali, che faticano più degli altri a misurarsi su un mercato sempre più volatile e instabile e che, al di sotto di una certa soglia di prezzo, non riescono a coprire nemmeno i costi di produzione;
– le forti carenze dello stoccaggio nazionale, sia in termini di capacità ricettiva del prodotto all’atto della raccolta, sia in termini di capacità di segregazione della partite in base della qualità del raccolto, che non consente di premiare i produttori più virtuosi;
– il blocco della ricerca scientifica che si è tradotto in uno stop all’innovazione, un gap insostenibile per chi è costretto a misurarsi su un mercato sempre più aperto e concorrenziale;
Si tratta di problemi gravi, trascurati da una politica agricola comunitaria inefficiente ma anche nazionale poco lungimirante, che dovrebbero essere affrontati e risolti sul piano strutturale e non con semplici, quanto inefficaci, interventi tampone.
Il settore cerealicolo nazionale ricorda da vicino le strade della nostra penisola disseminate di buche e riparate al momento e parzialmente con “rattoppi volanti”. Rattoppi che al primo acquazzone fanno si che la buca ripresenti più grande e più profonda di prima.
Foto: © Željko Radojko – Fotolia.com
Nadia Comerci