Tra i protagonisti del Meeting di Rimini 2013 ci sarà anche l’agricoltura. Sarà, infatti, l’interazione tra l’uomo e la natura nel processo di domesticazione delle piante il tema della mostra a contenuto scientifico organizzata in occasione della settimana riminese, come avviene da ormai più di 15 anni, dall’associazione scientifica Euresis. Da sempre impegnata nella riscoperta della bellezza e dell’utilità della scienza “nel pieno ed entusiastico rispetto del rigore scientifico, senza censurare le domande profonde che nascono ad ogni nuova scoperta e nelle quali la scienza stessa ha le sue radici”, Euresis concentrerà l’attenzione di chi visiterà la mostra, quest’anno intitolata “Naturale, artificiale, coltivato”, sullo sviluppo dell’agricoltura e sulle nuove sfide da affrontare per poter nutrire in modo sostenibile una popolazione mondiale in continuo aumento. La mostra vuole raccontare prima di tutto una storia in cui si dipanano le pratiche agricole affinate nel corso di secoli e i metodi di miglioramento genetico più classico. Lo scopo è capire il passato e guardare al futuro con la consapevolezza del cammino percorso, un cammino pieno di tentativi, errori e sofferenze, ma anche di grandi progressi e quindi carico di speranza.
La tematica non è stata scelta a caso, ma si sposa con il tema scelto per il Meeting 2013, “Emergenza uomo”, un titolo che, ci spiega Piero Morandini, ricercatore in fisiologia vegetale all’Università degli Studi di Milano, “può essere inteso sia nel senso di segnalare una situazione di pericolo imminente, sia per indicare come l’uomo emerge, diventa se stesso”. “In questo secondo senso – prosegue Morandini – la nascita dell’agricoltura è indicativa dell’emergere dell’uomo, rappresenta una transizione epocale per il sorgere della società per come noi la conosciamo (densa e stanziale). Ripercorrere la storia di come l’uomo ha cambiato il proprio rapporto con la natura, trasformandola e lasciandosi trasformare, può aiutare anche noi, oggi, a riflettere sul nostro rapporto con la natura. E ripercorrere questa storia vuol dire innanzitutto, ma non solo, capire che cosa è successo alle piante che sono state domesticate e che sono diventate fedeli compagne dell’uomo, capaci di sostenere l’esplosione demografica”.
In questa transizione, però, le piante coltivate sono diventate dipendenti dall’uomo per la loro sopravvivenza. “In questo senso – spiega Morandini – la mostra ha una preoccupazione di tipo educativo per recuperare alcuni concetti base che si sono persi”. In effetti, più del 95-98% dell’attuale popolazione dei paesi sviluppati non è né impegnata, né direttamente coinvolta nel mondo agricolo. “La maggior parte della gente non ha più idea da dove arrivi il cibo, come venga prodotto e quale sia il contenuto di tradizione, di tecnologia e di sforzo intellettuale dell’agricoltura dagli albori fino ad oggi. Il rischio è dimenticare, se non disprezzare, queste componenti vitali per l’agricoltura, rimanendo ancorati a visioni idilliache e irrealistiche”.
Una volta presa consapevolezza del ruolo centrale dell’agricoltura nelle società umane, in che modo è possibile utilizzarla per raggiungere l’obiettivo di garantire cibo prodotto in modo sostenibile all’intera popolazione mondiale?
“Nella situazione attuale abbiamo bisogno di tutti gli strumenti per migliorare le colture, sia come produttività, che come qualità nutritive”, spiega Morandini. “La produzione deve essere aumentata in loco perché c’è e ci ci sarà un’emergenza produttiva. Questo riguarda innanzitutto i paesi meno progrediti nella via dello sviluppo, in cui quasi un miliardo di persone soffre la fame. Il modo migliore per rispondere in modo duraturo a questo scandalo non è l’elemosina, che distrugge la produzione locale e che è alquanto improbabile attuare per i costi e le proporzioni del fenomeno, ma l’aumento della produttività degli agricoltori dove c’è il consumo”. A ciò si aggiungono la richiesta sempre maggiore di un’alimentazione più ricca – cui corrisponde la necessità di una maggior produzione di proteine – e una fame meno evidente, associata alla carenza di vitamine e di altri nutrienti importanti per uno sviluppo corretto e una vita più sana. “La sofferenza dovuta alle carenze nutrizionali o a cibi poco sani, ad esempio perché contaminati da batteri, tossine o fattori antinutrizionali, è a dir poco indicibile e non ci vorrebbe molto, utilizzando i diversi metodi già disponibili, per migliorare la situazione, sia modificando le colture che i processi”.
In questo panorama, quale ruolo potrebbero giocare le biotecnologie?
“L’ingegneria genetica può dare in questo settore contributi significativi, se fosse accettata per quello che è, cioè l’estensione naturale del miglioramento genetico classico, come anche molte tecnologie emergenti (penso a tutte le forme di mutagenesi mirata sviluppate di recente)”. Da parte sua, l’Italia dovrebbe prender coscienza che “anche nel settore agricolo c’è un’emergenza: strutturale (le aziende agricole fanno fatica a creare reddito e molte si indebitano e falliscono), educativa (si pensi all’idea diffusa, ma erronea, secondo cui tutte le piante coltivate sono naturali) e culturale (sono pochi quelli che riconoscono che il ruolo primario dell’agricoltura è la produzione del cibo)”. “Lo stimolo – conclude Morandini – può venire dal mondo agricolo e dalla filiera agroalimentare, ma la risposta è compito della politica, a cui auguro di saper vedere i problemi e di avere il coraggio di aprire alla sperimentazione e all’innovazione, che non sono mai mancate nella millenaria storia delle colture e del cibo”.
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Silvia Soligon