C’è un settore nella filiera agroalimentare che ha tutte le carte in regola per tornare a crescere. Nonostante l’alta qualità delle produzioni, la serietà dei controlli, i valori nutrizionali di assoluta eccellenza, la carne bovina italiana è un segmento zootecnico che ha dovuto camminare negli ultimi anni sui carboni ardenti: la crisi economica, quella dei consumi, un “clima” di pregiudizio alimentare. Quel periodo non è ancora alle spalle, ma qualche luce si fa strada. Il consumo nazionale di carne bovina nel periodo 2011-2012 ha registrato un lieve calo in termini di acquisto medio per famiglia (-1.4% in complesso) e di frequenza di acquisto (-3.2%). Nel 2013 i consumi di carne bovina sembrano essersi ripresi malgrado il perdurare della crisi.
Tagli di valore per le famiglie
“Questa ripresa è certamente dovuta a strategie messe in atto dalla grande distribuzione che hanno portato un lieve abbassamento dei prezzi dei tagli meno pregiati – spiega Manolo Cappelloni dell’Associazione Italiana Allevatori (Aia) – che ha spinto verso una ripresa dei consumi. La promozione e la valorizzazione dei tagli del quarto anteriore, meno pregiati rispetto a quelli del quarto posteriore per le caratteristiche di consistenza, fibrosità e tenerezza, ma sicuramente non per le altre caratteristiche organolettiche, come sapidità, aspetto e valore nutritivo, hanno garantito al settore delle carni rosse di non subire un forte tracollo”. I tagli meno nobili hanno subito una seconda vita e “sebbene risultino più duri e difficili da cucinare, sono comunque di elevato valore nutrizionale – afferma l’esperto -, quindi, in un periodo di difficoltà economiche delle famiglie italiane, costituiscono una valida e nobile fonte di proteine animali”. Il carrello degli italiani si è ristretto, ma è aumentata la sensibilità nei confronti degli aspetti nutrizionali, come dimostrano i sondaggi di marketing. Le produzioni zootecniche sono pronte alla sfida? “Le etichette della carne non risultano sempre facili da leggere – ammette Cappelloni -. Spesso le informazioni obbligatorie sono riportate in forma di codici che risultano poco utili al consumatore”. Esperienze significative si fanno avanti, con i consorzi di qualità che “offrono spesso una garanzia della trasparenza e della tracciabilità delle carni commercializzate fornendo in etichetta molte informazioni aggiuntive e di facile lettura. Inoltre, sapere che le carni sono state prodotte all’interno di una filiera – sottolinea l’esperto dell’Aia -, permette al consumatore di informarsi non solo sul luogo di nascita e sull’allevamento dell’animale, ma spesso anche sulle modalità di alimentazione e di tenuta degli animali, nonché informazioni relative alla sua permanenza in stalla”.
Far muovere l’esperienza e non gli animali
Tracciabilità, disciplinari e marchi di produzione, filiere locali e circuiti brevi rivestono un ruolo chiave nell’ambito della riqualificazione della carne bovina, “come nel caso del ‘Consorzio Carni Qualità Piemonte’ – ricorda Cappelloni -, che è riuscito a garantire la massima tutela qualitativa della carne costituendo una rete tra tutti gli operatori della filiera rendendoli contemporaneamente strumento di qualificazione, promozione e controllo”. I processi produttivi legati ai prodotti di origine zootecnica sono fortemente interconnessi: ogni fase produttiva ha un impatto sul prodotto destinato al consumatore finale. Una garanzia, piuttosto che un limite. “Il legame territoriale tra le diverse fasi produttive – aggiunge – rende verificabile l’output di ciascuna fase e consente di ridurre il numero dei pericoli che hanno impatto diretto sulla sicurezza alimentare. Pensiamo al solo trasporto, del vivo o del morto, e a quanto tale processo ‘senza valore aggiunto’ possa in realtà impattare sulla qualità del prodotto e sulla sua sicurezza”. Un lungo trasporto del vivo incide sul benessere dell’animale trasportato e direttamente sulla qualità della carne dopo la macellazione. “Il mantenimento della catena del freddo, fattore critico lungo tutto il processo, quanto è più rischioso se le varie fasi sono dislocate su diversi territori? – domanda Cappelloni -. E consideriamo inoltre quando sia auspicabile un sistema in grado di applicare fino in fondo i benefici dei sistemi di tracciabilità, obbligatori per legge, ma che spesso sono lontani dallo loro ratio più profonda che è quella di poter risolvere le cause di potenziali rischi sulla sicurezza alimentare e innescare processi di miglioramento continuo?”. La qualità dei prodotti zootecnici nasce in allevamento: “Pensiamo al ruolo fondamentale dell’alimentazione – dice ancora l’esperto – e allora perché si possano innescare processi virtuosi tra i diversi anelli della filiera senz’altro gli anelli devono essere il più vicini possibile e condividere la medesima filosofia produttiva”.
L’allevatore italiano è Doc
L’allevatore italiano si contraddistingue per la sua elevata professionalità e specializzazione che lo rende all’avanguardia e altamente competitivo nei confronti dei suoi colleghi europei. “La costante presenza in allevamento – afferma il rappresentante dell’Aia -, l’interesse a produrre prodotti di elevata qualità e l’attenzione nei confronti delle esigenze degli animali, lo pongono come principale garante della sicurezza alimentare e della qualità dei prodotti”. Eppure, fare allevamento oggi è sempre più complicato. “Attualmente la produzione di carne non è remunerativa a causa degli elevati costi di allevamento. Le principali difficoltà che gli allevatori debbono affrontare quotidianamente sono riconducibili alla difficoltà nel reperire animali da ristallo, elevati costi di acquisto degli animali, costi delle materie prime in continua crescita e prezzo della carne praticamente bloccato da oltre venti anni”. Tutti questi fattori incidono negativamente sulla produzione di carne bovina e sulla redditività dell’allevamento del bovino da carne che nel corso degli ultimi anni è calato di oltre il 7%. “La carenza strutturale della produzione di carne nazionale rende indispensabile l’approvvigionamento estero di carne” e questo meccanismo perverso fa sì, continua Cappelloni, che “il patrimonio nazionale di biodiversità rappresentato dalle risorse genetiche animali presenti sul territorio – aggiunge – è molto spesso minacciato dal rischio di erosione genetica o estinzione a causa della scarse capacità di remunerazione che queste razze assicurano agli allevatori. Esistono alcune realtà regionali che dimostrano come le razze italiane specializzate nella produzione di carne siano comunque in grado di garantire produzioni di ottime qualità organolettiche e, soprattutto, di assicurare una buona remunerazione all’allevatore se opportunamente valorizzate”.
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Nadia Comerci