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Nuovi alimenti, il ruolo dell’Efsa per la sicurezza

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Ieri caffè, patate, pomodori, riso e mais. Oggi krill, semi di chia e frutto del baobab. Cos’hanno in comune? Sono stati o sono “nuovi alimenti”. I primi sono prodotti provenienti da continenti diversi, dalle Americhe all’Africa all’Asia, sconosciuti prima di diventare nei secoli parte integrante della dieta europea. Erano dunque “novel food” così come oggi lo sono tanti altri prodotti di cui gli europei stanno apprezzando gusto e proprietà nutritive in questo momento storico. Ma prima di poterlo fare è necessario che sia appurata la loro sicurezza, un aspetto di cui si occupano l’Efsa, l’Autorità per la Sicurezza alimentare, e l’Unione europea

Per ‘novel food’ non si intendono solo i cibi nuovi, ma anche i prodotti insoliti, non convenzionali, innovativi, gli alimenti con i quali si viene a contatto per la prima volta. Il termine fissato dall’Ue è maggio 1997: sono “nuovi” quegli alimenti il cui consumo non era diffuso prima di questa data. Ecco che l’elenco è lunghissimo: ci sono prodotti come i semi di chia, la quinoa, gli alimenti a base di alghe, il frutto del baobab, il physalis (o alchechengi peruviano o ribes del Capo). A questi vanno aggiunti anche gli insetti dal momento che in altre parti del mondo è comune il consumo di grilli e larve, per esempio; le sostanze aggiunte ai cibi, come quelle utilizzate per rendere le gomme da masticare meno appiccicose; le nuove fonti di componenti alimentari note, come il krill fonte di omega 3, una sostanza che già deriva da altri prodotti comuni; i prodotti alimentari utilizzati grazie a nuove tecnologie, come le nanotecnologie. Un sottogruppo dei nuovi alimenti sono gli “alimenti tradizionali” ovvero i prodotti consumati tradizionalmente fuori dall’Europa.  

L’elenco si arricchirà ulteriormente negli anni dal momento che la globalizzazione, la ricerca di nuovi prodotti, gli scambi commerciali aprono le porte alla condivisione di “nuovi alimenti”.

L’Ue autorizza il commercio

La disciplina sui “nuovi alimenti” è stata modificata con il regolamento del novembre 2015. La normativa introduce una procedura di valutazione ad autorizzazione centralizzata che rende più efficiente tutto il processo. La autorizzazione arriva dalla Commissione europea che può coinvolgere l’Efsa per la valutazione scientifica dei rischi per stabilirne la sicurezza. Per gli “alimenti tradizionali”, prima che possano entrare in commercio nell’Ue, è necessario accertarsi che siano stati consumati senza rischi da almeno 25 anni. In questo modo vengono fornite delle prove della loro sicurezza. I Paesi membri e l’Efsa possono obiettare sull’immissione sul mercato dell’alimento. 

Non è quindi l’Efsa che decide se un alimento sia da considerare “nuovo” o “tradizionale”; questo  spetta ai gestori del rischio dell’Ue. L’Efsa valuta invece la sicurezza sulla base della documentazione presentata dai richiedenti che deve includere dati su composizione, caratteristiche nutrizionali, tossicologiche, allergeniche nonché informazioni su processi produttivi e impieghi.

 

Foto: Pixabay

redazione