Nei loro primi 18 anni, ovvero dal 1996 – anno in cui vennero per la prima volta commercializzate – al 2013 – anno in cui sono diventate “maggiorenni” – le colture biotech hanno ottenuto diversi risultati: hanno aumentato la produzione agricola di quasi 117 miliardi di dollari; hanno fatto sì che si potesse coltivare evitando di spargere nell’ambiente 497 milioni di kg di pesticidi; hanno indotto una riduzione delle emissioni di anidride carbonica di 26,7 miliardi kg nel solo 2012 (equivalente a togliere dalla strada, per un anno, 12 milioni di auto); hanno contribuito ad alleviare la povertà per più di 16,5 milioni di piccoli agricoltori e per le loro famiglie, per un totale di più di 65 milioni di persone, alcune delle quali tra le più povere al mondo. A mettere in evidenza i risultati ottenuti nei loro primi 18 anni dalle colture biotech è l’ISAAA, l’International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications, un’organizzazione internazionale non-profit che, attraverso la condivisione di iniziative e il trasferimento di conoscenze, condivide i benefici delle coltivazioni biotecnologiche con diversi soggetti, in particolare con gli agricoltori dei Paesi ancora in via di sviluppo.
Ma quali sono i Paesi che hanno adottato le colture “biotech”? L’ISAAA spiega che i cinque Paesi che, a livello mondiale, hanno sfruttato maggiormente le potenzialità del mais e della soia biotech sono, nell’ordine, gli Stati Uniti al primo posto, seguiti dal Brasile al secondo, dall’Argentina al terzo, dall’India al quarto e dal Canada al quinto. Quanto all’Europa, nel 2013 cinque paesi dell’Unione Europea hanno raggiunto il record di 148.013 ettari piantati a mais Bt, in crescita del 15% rispetto al 2012. La Spagna è la nazione maggior coltivatrice in UE, con 136.962 ettari dedicati al mais Bt, in crescita del 18% rispetto al 2012. Molti Paesi africani, infine, hanno fatto diversi passi in avanti nell’adozione delle colture biotech. In Sudafrica le colture biotech sono una realtà da più di 10 anni. Nel 2013 il Burkina Faso e il Sudan hanno aumentato la loro superficie in ettari coltivata a cotone Bt, rispettivamente, del 50% e del 300%. Sette Paesi – Camerun, Egitto, Ghana, Kenya, Malawi, Nigeria e Uganda – hanno condotto prove sul campo, il che rappresenta il penultimo passo prima dell’approvazione per la commercializzazione.
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Miriam Cesta