Ogm: il “paradosso” della scelta italiana, allo stesso tempo pro e contro le norme Ue
Roma, 24 maggio – La clausola di salvaguardia contro gli Ogm invocata dal Senato con l’ordine del giorno approvato il 21 maggio potrebbe esporre l’Italia a nuove e pesanti sanzioni. In base all’articolo 23 della direttiva 2001/18/CE servono, infatti, “fondati motivi” per limitarne, vietarne l’uso o la vendita sul proprio territorio, ma ci sono anche altri elementi giuridici che non sono stati presi in considerazione quando pochi giorni fa il Senato ha approvato l’ordine del giorno che impegna il Governo ad adottare contro gli Ogm la clausola di salvaguardia prevista dalla stessa Direttiva europea.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha recentemente affermato che “il diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais mon 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l’impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati dall’Unione Europea”.
Siamo di fronte alla situazione paradossale sulla base della quale nel nostro Paese l’applicazione della normativa comunitaria viene estesa o ristretta a seconda degli umori del momento o, peggio, delle convenienze di comodo.
La stessa Corte ha, inoltre, affermato che il diritto dell’Unione Europea deve essere interpretato nel senso “che non consente a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati per il fatto che l’ottenimento di un’autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture”.
Se, infatti, appare del tutto chiaro quanto ordinato dalla Corte di Giustizia europea, molto meno evidente appare, invece, il comportamento assunto dal Senato, che impegna il Governo ad applicare nel nostro Paese la clausola di salvaguardia senza però addurre alcuno dei motivi che giustificano il ricorso a tale clausola. In base all’ articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, infatti, “qualora uno Stato membro, sulla base di nuove o ulteriori informazioni divenute disponibili dopo la data dell’autorizzazione e che riguardino la valutazione di rischi ambientali o una nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche, abbia fondati motivi di ritenere che un Ogm come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato per iscritto in base alla presente direttiva rappresenti un rischio per la salute umana o l’ambiente, può temporaneamente limitarne o vietarne l’uso o la vendita sul proprio territorio”.
La clausola di salvaguardia non può quindi essere invocata sulla base di un semplice mal di pancia o del pregiudizio di qualcuno, ma deve essere motivata dalla sopravvenienza di “nuove o ulteriori informazioni che riguardano la valutazione dei rischi ambientali” o a seguito di una “nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche”.
Il diritto europeo, in questo caso, non lascia spazio a dubbi interpretativi: o il Senato non ha comunicato le sopraggiunte novità scientifiche, ragion per cui farebbe bene a farlo per dare modo a tutti di conoscerle, in primis ai consumatori italiani (e all’industria di trasformazione impegnata a garantire la sicurezza alimentare); oppure queste novità non ci sono e allora l’applicazione della clausola di salvaguardia sarebbe da ritenere un atto illegittimo e che come tale potrebbe essere ulteriormente sanzionato dalla Ue.
Quale che sia la risposta va tuttavia posto in evidenza che l’aspra diatriba sugli Ogm non ha un valore puramente filosofico, ma viene giocata sulla pelle di intere categorie a cui appartengono operatori economici, agricoltori e industria di trasformazione, che ne subiscono i pesanti effetti, in termini di costi e di competitività, e colpisce anche gli stessi consumatori, ai quali non vengono fornite informazioni che consentano loro la sana libertà di scelta sulla questione.
La clausola di salvaguardia contro gli Ogm invocata dal Senato con l’ordine del giorno approvato il 21 maggio potrebbe esporre l’Italia a nuove e pesanti sanzioni. In base all’articolo 23 della direttiva 2001/18/CE servono, infatti, “fondati motivi” per limitarne, vietarne l’uso o la vendita sul proprio territorio, ma ci sono anche altri elementi giuridici che non sono stati presi in considerazione quando pochi giorni fa il Senato ha approvato l’ordine del giorno che impegna il Governo ad adottare contro gli Ogm la clausola di salvaguardia prevista dalla stessa Direttiva europea.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha recentemente affermato che “il diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais mon 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l’impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati dall’Unione Europea”.
Siamo di fronte alla situazione paradossale sulla base della quale nel nostro Paese l’applicazione della normativa comunitaria viene estesa o ristretta a seconda degli umori del momento o, peggio, delle convenienze di comodo.La stessa Corte ha, inoltre, affermato che il diritto dell’Unione Europea deve essere interpretato nel senso “che non consente a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati per il fatto che l’ottenimento di un’autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture”.
Se, infatti, appare del tutto chiaro quanto ordinato dalla Corte di Giustizia europea, molto meno evidente appare, invece, il comportamento assunto dal Senato, che impegna il Governo ad applicare nel nostro Paese la clausola di salvaguardia senza però addurre alcuno dei motivi che giustificano il ricorso a tale clausola. In base all’ articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, infatti, “qualora uno Stato membro, sulla base di nuove o ulteriori informazioni divenute disponibili dopo la data dell’autorizzazione e che riguardino la valutazione di rischi ambientali o una nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche, abbia fondati motivi di ritenere che un Ogm come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato per iscritto in base alla presente direttiva rappresenti un rischio per la salute umana o l’ambiente, può temporaneamente limitarne o vietarne l’uso o la vendita sul proprio territorio”.
La clausola di salvaguardia non può quindi essere invocata sulla base di un semplice mal di pancia o del pregiudizio di qualcuno, ma deve essere motivata dalla sopravvenienza di “nuove o ulteriori informazioni che riguardano la valutazione dei rischi ambientali” o a seguito di una “nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche”.Il diritto europeo, in questo caso, non lascia spazio a dubbi interpretativi: o il Senato non ha comunicato le sopraggiunte novità scientifiche, ragion per cui farebbe bene a farlo per dare modo a tutti di conoscerle, in primis ai consumatori italiani (e all’industria di trasformazione impegnata a garantire la sicurezza alimentare); oppure queste novità non ci sono e allora l’applicazione della clausola di salvaguardia sarebbe da ritenere un atto illegittimo e che come tale potrebbe essere ulteriormente sanzionato dalla Ue.
Quale che sia la risposta va tuttavia posto in evidenza che l’aspra diatriba sugli Ogm non ha un valore puramente filosofico, ma viene giocata sulla pelle di intere categorie a cui appartengono operatori economici, agricoltori e industria di trasformazione, che ne subiscono i pesanti effetti, in termini di costi e di competitività, e colpisce anche gli stessi consumatori, ai quali non vengono fornite informazioni che consentano loro la sana libertà di scelta sulla questione.
Foto: Pixabay
Redazione