L’estenuante dibattito tra contrari e favorevoli agli Ogm, che da almeno 15 anni si sta conducendo nel nostro paese senza alcun risultato di reciproca mitigazione delle posizioni, mi appare un dialogo tra sordi. Nonostante tale valutazione, continuo a partecipare, se pur marginalmente, al confronto (scontro) tra le due posizioni, accompagnato, comunque, da quello stesso stupore che fin dall’inizio mi generò la nascita della forte polemica su questo argomento che era – e rimane per me -, senza reale sostanza: ma quale pericolo rappresenterebbero gli Ogm per le nostre società? Quali sono i terribili rischi che comporta l’adozione della tecnologia del Dna ricombinante e quindi della commercializzazione dei suoi prodotti? Avendo letto una infinità di articoli, inclusi molti rapporti scientifici, che avrebbero dovuto portare elementi a sostegno della contrarietà agli Ogm, rimango saldamente convinto della assoluta banalità ed inutilità dell’immenso fiume di parole speso in quest’ambito. Purtroppo il dibattito continua e siccome le tesi degli “anti” non sono a mio parere sostenute da dati scientifici e tecnici tali da farmi cambiare opinione, sento doverosamente di difendere le mie posizioni e, fortunatamente, quelle di molti altri dei quali condivido il pensiero, avvertendo, purtroppo, un senso di noia e di disappunto come si prova per le cose che consideriamo sciocchine, ma che si è costretti a trattare, se non altro per non cedere ad una concezione scientifica, quella appunto degli “anti”, che non convince.
Cosa accade nel mondo – La comunità scientifica dedicata alla biologia delle piante – e che include genetisti, biologi molecolari, fisiologi, biochimici, patologi, microbiologi -, guarda con fiducia alla tecnologia del Dna ricombinante. Come mai la pubblica opinione è così riluttante se non addirittura contraria ad accettare gli Ogm? La risposta al quesito è complessa. Certamente la società, globalmente intesa, non può comprendere facilmente tutto quanto viene scritto e detto sugli Ogm. Una piena comprensione dei problemi richiederebbe almeno un approfondimento sul piano tecnico-scientifico che, già di per sé, è molto specialistico, inoltre è richiesta anche una discreta padronanza delle numerose interfacce dell’argomento in questione con altri livelli di valutazione, oltre a quello strettamente scientifico, quali, tanto per citarne alcuni, quello economico, etico ed alimentare.
Gli oltre 150 milioni di ettari che nel 2011 sono stati coltivati nel mondo e che rappresentano il 10% della terra coltivata globale, non sono un attentato alla umanità, ma producono alimenti e materiali di vario uso che, usati da oltre 15 anni non hanno creato problemi nelle varie aree del pianeta. Le coltivazioni GM per quanto concentrate nell’America del Nord e del Sud sono ampiamente presenti in Asia – India e Cina – , con presenze in Africa ed Australia. Sono invece presenti in poco più di 100.000 ettari in Europa. Non si sono mai avuti effetti nocivi sulle popolazioni, ma neppure sugli ambienti. Quando qualche ipotetico problema è stato sollevato si è accertato che questo non era certo di entità superiore a quelli generati dalle comuni piante agrarie ottenute con metodi di miglioramento genetico tradizionale e coltivate da molti decenni senza alcun controllo. Al contrario gli organismi GM passano attraverso rigorosi controlli prima di essere approvati per la coltivazione.
Il “lato” scientifico – Vi sono alcuni fatti importanti che, al di là delle polemiche, avvengono nell’ambito della ricerca scientifica e sono destinati ad uscire dall’ambito strettamente di laboratorio per incidere sulle nostre abitudini. Infatti in altri paesi europei, pur con la ormai ben nota prudenza dell’Ue in questo campo, ci si sta muovendo decisamente nella direzione delle possibili applicazioni della tecnologia del Dna ricombinante su varie importanti specie coltivate. Si tenterà, ad esempio, di ottenere la massima sicurezza possibile studiando l’integrazione sito-specifica dei geni, ossia l’esatta collocazione nel genoma, per minimizzare la variabilità della loro espressione e monitorando le piante GM in tutta la catena produttiva.
Uno dei problemi frequentemente sollevato dagli oppositori è la non “sostanziale equivalenza” delle piante GM rispetto alle corrispondenti piante non trasformate. Recentemente ricercatori americani, dopo un accurato esame del trascrittoma (il complesso degli Rna messaggeri) e del metaboloma (l’insieme dei metaboliti ) di orzo normale e transgenico, hanno osservato più variabilità nei comuni incroci che nelle varietà transgeniche. È solo una delle infinite dimostrazioni che la tecnologia del Dna ricombinante può essere affidabile non meno di quanto sia stata l’eccezionale attività di miglioramento genetico tradizionale condotta da almeno un secolo.Da questi pochi esempi si può facilmente dedurre che la comunità scientifica è assolutamente in grado di assicurare interventi transgenici sulle piante coltivate che siano rispettosi di tutte le implicazioni ambientali, incluse le preoccupazioni circa la salute dell’uomo.
E l’agricoltura? – Posso dire, insieme a molti esperti del settore, che l’ agricoltura italiana è nel complesso molto debole sul piano economico e strutturale, con le solite lodevoli eccezioni, ma che appunto rimangono tali. Rimane che la coltivazione delle nostre campagne è un fatto altamente strategico per tutto il Paese, ma sino ad ora non è emerso niente che sia veramente risolutivo affinché si possa avviare l’indispensabile rinascita. Pertanto, come rispondere alla domanda: quale agricoltura sarà la più promettente per il futuro? La risposta a questa domanda è complessa: mi limito a constatare quanto sia sciocco mettere in alternativa le “agricolture” cosiddette “tradizionale”, “biologica” e “biotecnologica” tanto per citare le principali, ma l’elencazione potrebbe continuare. Si sta, infatti, conducendo in più sedi una lotta costante per il prevalere di una di queste forme di agricoltura. Sembra proprio che mentre l’agricoltura italiana è al momento più basso del suo significato economico nel contesto delle attività italiane , i “cittadini” si accapigliano su questioni marginali. Credo che l’agricoltura italiana non debba perdersi in queste lotte di dubbio significato, ma anziché impegnarsi nei distinguo su cosa è meglio fare dovrebbe dare spazio a tutte le forme di agricoltura oggi possibili affinché si possa vedere in campo quali sono i risultati. Non escludere nulla per ragioni ideologiche, ma includere tutto per scegliere poi solo quello che appare convincente sul piano del reddito e della sostenibilità. Pertanto le piante che vengono dalla tecnologia del Dna ricombinante possono giocare un ruolo importante nel contesto italiano, così come stanno già facendo in gran parte del mondo. Opporsi è stato un errore che ci ha ulteriormente indebolito.
Le ragioni della ricerca – Ad una “lobby biotech”, certamente esistente ed operante, corrisponde una opposta ma simmetrica “lobby anti-biotech”, che si vuole opporre ai “danni” effettuati dalla cosiddetta agricoltura industriale, paventando la crisi dei saperi tradizionali, il monopolio del mercato dei semi, lo sfruttamento dei piccoli agricoltori. In base a considerazioni varie l’Unione europea, ma soprattutto l’Italia, ha, nei fatti, rifiutato i prodotti agrari della tecnologia del Dna ricombinante, generando le contraddizioni che ho cercato di elencare e accettando, di fatto la posizione della lobby antibiotech. Se invece, pur respingendo una parte degli attuali prodotti, avesse aperto alla ricerca consentendo le prove sperimentali in campo con tanto di comparazione sia qualitativa che quantitativa delle produzioni, oltre ai controlli previsti per la salute umana ed animale e per la salvaguardia dell’ambiente, allora la posizione sarebbe stata accettabile. L’attuale situazione di rifiuto non può essere condivisa dalla comunità scientifica.
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Prof. Amedeo Alpi – Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari, Agro-ambientali dell’Università di Pisa e componente del Comitato Esecutivo Unasa