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OGM: un grave errore chiudere anche alla ricerca

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In Italia possiamo davvero fare a meno degli OGM? Rispondere a questa domanda sulla base di semplici dichiarazioni di carattere personale a favore o contro le biotecnologie significa non volere affrontare in modo serio e obiettivo il problema, lasciando la soluzione a considerazioni troppo spesso basate su pregiudizio o, peggio ancora, sull’ipocrisia. Il nuovo spunto a questa riflessione, è stata offerta da alcune dichiarazioni rilasciate dal Ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, al Corriere della Sera, che con riguardo agli Ogm invitava a non abbandonare la ricerca.
Un’intervista  che ha sollevato polemiche indignate tra i detrattori degli Ogm, da parte dei quali viene del tutto trascurato il fatto che nel Mondo, invece, vi è una ricerca molto sviluppata in materia, su cui si lavora da decenni. Ma ciò che lascia più sorpresi è che da parte di coloro che si dichiarano contro gli Ogm si tralascia di considerare volutamente che la produzione mondiale di molte delle principali varietà  agricole coltivate – soia, mais, colza, cotone e tante altre – sono già oggi in larga misura di natura GM e che, da tali produzioni GM, l’Italia dipende per una buona fetta dei suoi approvvigionamenti di materie prime agricole, di cui fa un largo uso da oltre 16 anni. Uso che, è bene sottolinearlo ancora una volta, avviene nel pieno rispetto delle  normative comunitarie in materia, in piena sicurezza e, aspetto non secondario, accrescendo spesso anche gli standard di qualità di molte nostre produzioni agro-alimentari di derivazione zootecnica, tra le quali ne figurano parecchie anche a denominazione di origine protetta.
Nessuno ha la pretesa di negare che sulla questione OGM possano esservi opinioni diverse sul piano personale, ma non è giustificabile – specie da parte di chi si dichiara contrario alle biotecnologie – opporsi finanche ad un programma di ricerca serio e su vasta scala sulla materia. Ciò  perché solo la ricerca scientifica può dirimere dubbi e controversie e può stabilire autorevolmente, ed al di là  di mere considerazioni di carattere personale, se si ha ragione ad essere contrari o se sia invece opportuna una valutazione più obiettiva e serena della questione.
Del resto anche l’atteggiamento dell’opinione pubblica in merito al ruolo della ricerca, appare certamente più maturo e meno emotivo rispetto al passato, come dimostra anche un sondaggio effettuato dal Corriere della Sera all’indomani delle dichiarazioni del Ministro dell’Ambiente che, alla domanda “Il Ministro Clini: siamo l’unico Paese che non fa ricerca sugli OGM, questo è lesionista. Ha ragione?” ha visto ben il 74,1% delle risposte positive e soltanto il 25,9% delle risposte contrario.
Anche dalla maggior parte dei cittadini sembra quindi arrivare chiaro il segnale che sia giunto il momento di lasciare la parola alla scienza, perché questo viene percepito – giustamente – come l’unico modo razionale per ottenere risposte certe ed utili a stabilire – al di là  degli slogan – se dalle biotecnologie possono derivare pericoli o opportunità per il nostro agro-alimentare, per il nostro ambiente e per la nostra economia e perché solo dalle risposte della scienza possono derivare scelte oculate, a garanzia e a vantaggio non solo della nostra agricoltura e del nostro sistema agroalimentare, ma anche, e soprattutto, a effettiva garanzia e tutela dei nostri consumatori.
Nell’era della globalizzazione, dominata da un accesso sempre più ampio ai mercati di tutto il Mondo, in cui i prodotti possono circolare sempre più  liberamente da un Paese all’altro, non è giustificabile che chi ha la responsabilità di decidere nel nostro Paese continui a basare le proprie scelte su un tema di carattere così tecnico e strategico – come lo sono le biotecnologie – senza il supporto (o le conferme) di studi accreditati e di certezze scientifiche di cui sarebbe possibile disporre oggi, rischiando di cadere in un oscurantismo di stampo medioevale. Ed anche invocare, in tema di OGM – come si fa da anni nel nostro Paese –  il principio di precauzione può essere ritenuto giusto quando di tale strumento non venga fatto un abuso; si tratta, infatti, di un principio la cui applicazione non dovrebbe servire a giustificare l’imposizione di un divieto a tempo indeterminato, bensì di disporre del tempo necessario a verificare, sotto il profilo scientifico, se vi sono le condizioni per mantenere quel divieto o per estenderlo o per abrogarlo oppure per sottoporlo a condizioni.
È un errore gravissimo che dimostra come sia sottovalutato nel nostro Paese il ruolo strategico dell’agricoltura, dalla quale dipende, non solo economia, occupazione e sviluppo, ma soprattutto la possibilità di garantire alle nostre generazioni e a quelle future, la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari, di cui siamo già oggi largamente deficitari. L’agricoltura italiana ha estrema necessità di accrescere la propria capacità  di soddisfare la domanda interna e di farlo in modo efficiente e competitivo. E questa esigenza sarà ancor più forte nel breve periodo se si tiene conto che a livello mondiale la domanda di prodotti alimentari cresce in misura quasi doppia rispetto all’offerta e che il nostro Paese è costretto a rivolgersi sempre di più dall’estero per i propri fabbisogni alimentari.
 Anche per questa ragione è necessario che anche l’Italia venga data sugli Ogm la parola ala ricerca, per dare ai propri agricoltori, alle proprie aziende del settore agro-alimentare e ai propri cittadini/consumatori risposte certe su una questione sulla quale il resto del Mondo sta andando sempre più avanti. Fino ad ora abbiamo perso colpevolmente tempo prezioso, a scapito della nostra capacità  di innovare e di stare al passo con i tempi, ma non possiamo continuare in questa direzione,  con il rischio di fare scelte sbagliate oggi che potranno costare molto care al nostro Paese domani.

 
Foto: Pixabay
Giulio Gavino Usai