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Paolo De Castro: “Semplificazione procedure, gestione dei rischi e rafforzamento delle filiere: i punti chiave per la Pac di domani”

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Onorevole De Castro, negli ultimi anni si è fatta sempre più forte l’esigenza del rinnovamento della Politica agricola comune (Pac) europea. La recente approvazione della cosiddetta “relazione omnibus” fissa alcuni punti essenziali: quali sono le novità che segnano maggiormente la discontinuità con la visione precedente?
Nell’ambito della revisione di metà percorso del bilancio pluriennale dell’Ue, il Parlamento europeo ha cercato di approfittare di questo atto legislativo che, proponendo alcune modifiche a tutti i regolamenti di base della politica agricola comune (aiuti diretti, sviluppo rurale, OCM e finanziamento) dà la possibilità di migliorare e risolvere alcune problematiche che gli agricoltori europei hanno riscontrato nei primi anni di applicazione della nuova PAC.
Nello specifico, la proposta approvata ad inizio maggio in Commissione agricoltura del Parlamento europeo si articola su tre elementi fondamentali: la semplificazione delle procedure, il bilanciamento delle relazioni di filiera e il rafforzamento degli strumenti di gestione dei rischi.La parola d’ordine di questa modifica di metà percorso è sempre stata semplificazione.

Questicambiamenti si inseriscono in una prospettiva di riforma che troverà definizione compiuta con la nuova elaborazione della politica agricola post-2020. Forte della sua lunga esperienza e conoscenza, quali sono gli elementi chiavi su cui dovrebbe essere costruita la nuova Pac?
Uno dei motivi per cui con i colleghi eurodeputati abbiamo deciso di proporre emendamenti sostanziali alla Pac già con l’omnibus è che, in realtà, non è chiaro cosa significa “post-2020”. Il Commissario all’agricoltura Phil Hogan dice che farà una proposta legislativa nel 2018, ma se così fosse non ci sarebbero i tempi per avere una nuova Pac entro il 2020. La Pac del futuro dovrà accogliere sollecitazioni “esterne”, come quelle che vengono dall’accordo sul clima di Parigi e dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu, ma anche e soprattutto le richieste che vengono dalla società e dagli agricoltori europei. A mio parere, con gli emendamenti dell’Europarlamento sull’Omnibus abbiamo già identificato gli elementi chiave della Pac del futuro, che sono i tre che le dicevo.

Quali sono i più difficili da realizzare e quali quelli a cui non si può rinunciare?
Sulla semplificazione sono tutti d’accordo, anche se molto dipende da come si applica la Pac a livello nazionale e regionale. Sulle relazioni di filiera ci si scontra la resistenza di diversi Paesi membri, in numero sufficiente per bloccare qualsiasi decisione in merito, su un quadro normativo comune a livello Ue sulle pratiche commerciali sleali. All’interno della Commissione europea, alcuni commissari sono renitenti a concedere deroghe alle regole sulla concorrenza che sarebbero necessarie a riequilibrare le relazioni di filiera. Anche sulla gestione del rischio c’è una certa diffidenza, ma l’importante è dare agli agricoltori un menu di strumenti che servano a proteggerli dagli effetti dell’instabilità dei mercati.

Rispetto alla filiera zootecnica e alle prospettive della filiera agro-alimentare quali saranno gli elementi di maggiore rilevanza che dovranno essere inseriti nella nuova Pac?
Alcune filiere zootecniche sono più vulnerabili di altre. Penso per esempio alla zootecnia da carne e alle carni bovine. La filiera suinicola va meglio ora, ma essenzialmente grazie alla domanda cinese, rispetto alla quale è troppo esposta. L’aggregazione e l’organizzazione sono strade in qualche modo obbligate per gli allevatori. Per quanto riguarda la filiera in generale, il lavoro svolto dalla “task force” di alto livello sugli squilibri di potere lungo le filiere presieduto dall’ex ministro olandese CeesVeerman è un punto di partenza davvero prezioso. Da lì siamo partiti per fare le nostre proposte sull’omnibus, finalizzate a rafforzare l’agricoltura organizzata in tutte le sue forme nei confronti delle altre parti della filiera. Per fare solo un esempio, abbiamoproposto di estendere le disposizioni del pacchetto latte, sia da un punto di vista temporale, sia in senso orizzontale, cioè a tutti gli altri settori. E poi c’è l’idea delle nuove forme organizzative che hanno il solo scopo di aggregare gli agricoltori per negoziare contratti.

Le trattative per Brexit che ruolo hanno dentro questo processo di riforma: sono una complicazione? Un’occasione di riflessione a più ampio raggio?
La complicazione è duplice. Da un lato la Brexitcondizionerà le risorse a disposizione nel bilancio Ue, anche per le politiche agricole. Dall’altro implica la ridefinizione delle relazioni commerciali tra Londra e Bruxelles. Con la Brexit che intaccherà il budget della Pac, cosa faranno gli Stati Ue? Vorranno mantenere i tetti di spesa attuali e quindi il contributo di Germania, Francia e Italia aumenterà? O si faranno scelte differenti? E come metterla con gli scambi commerciali? Dal punto di vista economico l’incertezza è la condizione peggiore, ma la realtà è che al momento non è possibile stimare quali saranno le conseguenze della Brexit per l’agricoltura europea. Non c’è motivo, al momento, di pensare che il nuovo assetto delle relazioni commerciali tra Londra e i Ventisette sarà per forza catastrofico.

C’è un’ondata di neoprotezionismo economico che sta scuotendo le fondamenta del commercio internazionale, incluso quello delle materie prime agricole e dei beni alimentari. Quali sono i rischi di questo fenomeno nel medio periodo? E che atteggiamento deve mantenere l’Europa di fronte a queste oscillazioni della politica?
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, troppo spesso Trump ci ha abituato ad annunci poi smentiti dai fatti. Anche suidazi, sarà necessario vedere se alle indiscrezioni giornalistiche e alle dichiarazioni seguiranno i fatti, ai quali chiaramente l’Europa sarebbe tenuta a rispondere. Fra Stati Uniti e Unione europea passa un terzo del commercio mondiale e una guerra di dazi fra le due sponde dell’Atlantico non gioverebbe a nessuna delle due parti. Per quanto riguarda il fronte europeo invece, la vittoria di Macron è stata un forte risposta a questa ondata di neoprotezionisimo. La visione europeista del nuovo Presidente francese,sembra ridare fiducia all’Europa unita. Inoltre, per quanto fondamentale l’asse franco-tedesco, al momento non sembra essere così solido poiché su molti aspetti Macron e la Merkel si trovano molto distanti. In questa nuovo scenario l’Italia deve cogliere questa occasione per inserirsi nel dibattito europeo e rilanciare l’idea di un’Europa che punta alla crescita e all’integrazione.

La filiera agroalimentare italiana è fortemente interconnessa: quali conseguenze ci sarebbero, a suo avviso, in caso di profondi cambiamenti nelle regole del commercio internazionale?
Il livello di interdipendenza raggiunto dalle economie mondiali è tale che non sarebbe possibile recidere alcuni legami senza causare squilibri pericolosi. La stessa svolta verso il bilateralismo negli accordi commerciali, cercata anche dall’Ue con accordi tipo il CETA con il Canada o il trattato con la Corea del Sud, non rifiutano ma si muovono nel quadro delle regole del WTO. Il fatto che esista una cornice di regole riconosciute e stabilite in modo multilaterale è essenziale. Soprattutto per le imprese italiane, per cui l’esportazione per è una via obbligata, visti anche i consumi di certe nostre tipicità che sono in declino sul fronte interno mentre vengono sempre più apprezzati all’estero. Mantenere buone relazioni con tutti gli attori di questo quadro molto confuso è più importante che mai. 

Salvatore Patriarca