Le più recenti tecnologie per il miglioramento genetico sono dette NBT, New Breeding Techniques. La ricerca internazionale le sta impiegando per sviluppare colture con nuove caratteristiche e in alcuni casi i prodotti sono stati immessi nel mercato. Queste tecnologie – come sottolinea il professor Piero Morandini, Ricercatore in Fisiologia vegetale presso il Dipartimento di Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano – potranno costituire una vera risorsa per il mondo agroalimentare anche in Italia se le piccole e medie imprese avranno la libertà di realizzare e commercializzare prodotti di valore.
New Breeding Techniques: perché si parla di “nuove” tecniche, cosa le caratterizza?
«Sono dette nuove perché sono un miglioramento delle tecnologie di modificazione del materiale genetico, permettono cioè di fare molte cose che si facevano già da anni, ma di farle molto più velocemente e con un grado di precisione prima impensabile. Per capire bene è importante sottolineare due cose: la prima è che per “modificazione genetica” qui non mi riferisco ai cosiddetti OGM ma, nel senso ampio (e vero) del termine nella lingua italiana, a quanto subisce una modifica nel materiale genetico, quindi non intendo dare al termine una connotazione negativa o legale. La seconda sottolineatura è che, nonostante il concetto sia sconosciuto e forse strano per molti, la modificazione genetica è intrinseca all’agricoltura, perché senza di essa non esisterebbero le piante coltivate. Su questo richiamo l’attenzione dei lettori alla mostra divulgativa creata alcuni anni fa, che mi pare sia stata descritta in un articolo proprio su Mangimi & Alimenti. La mostra, intitolata “Naturale, Artificiale, Coltivato – L’antico dialogo dell’uomo con la Natura”, è facilmente reperibile in Rete ed è ancora disponibile per essere affittata. Sapendo di risultare presuntuoso, consiglio ai lettori più desiderosi di approfondire e che non sono spaventati dall’inglese, il capitolo “Domestication of New Species” del libro “More Food: Road to survival” appena uscito (capitolo a cui ho contribuito personalmente insieme a un coautore) e che discute ampiamente di questi concetti».
«Per tornare alle NBT, sicuramente le tecniche più promettenti sono quelle che permettono il cosiddetto “genome editing”, cioè la revisione o correzione del genoma, ed in particolare quelle basate sul sistema CRISPR, perché semplifica e velocizza la procedura di definizione del sito dove deve avvenire la modifica genetica».
In che ambiti di produzione agroalimentare possono applicarsi queste nuove tecniche?
«A tutte quelle colture dove si fa miglioramento genetico e per cui si possono migliorare le caratteristiche, ma anche a tutte quelle colture (o razze animali) per le quali non viene fatto miglioramento genetico nel senso classico di incrocio e selezione, ma che vengono propagate vegetativamente per preservarne le caratteristiche clonali (la vite e molti fruttiferi, ad esempio).
Per quanto riguarda i caratteri, si possono introdurre molte resistenze ad avversità biotiche o migliorare alcune caratteristiche nutrizionali, ma l’elenco potrebbe essere molto lungo in funzione della coltura e del livello di modificazione permesso».
Mais, soia e grano sono le tre grandi materie prime alimentari del mondo: è immaginabile l’applicazione di NBT in queste tre colture?
«Sì, ed esistono già molti esempi concreti ottenuti (e pubblicati) a livello della ricerca per queste colture. Nel caso del mais è stata sviluppata una varietà waxy che credo sarà commercializzata a breve, mentre per la colza esiste già un prodotto (con tolleranza alle sulfonil-uree) commercializzato negli Stati Uniti. Per il frumento ci sono pubblicazioni che testimoniano l’introduzione di resistenza a malattia, ad esempio. Molte altre colture con diversi caratteri sono in fase pre-commerciale ed è probabile molte seguiranno a breve, soprattutto se verrà chiarito lo status legale a livello di UE».
Fame nel mondo, commercio internazionale e futuro sostenibile del pianeta: le NBT sono una risorsa? Se sì, perché?
«Saranno sicuramente una risorsa se agiremo diversamente da come fatto nei due decenni precedenti verso i prodotti transgenici (i cosiddetti OGM), quindi se sapremo rimuovere le barriere insormontabili che rendono impossibile alle piccole e medie imprese di portare sul mercato prodotti interessanti ed utili. Quanto più ci sarà facilità a sviluppare e commercializzare prodotti anche per i piccoli attori (penso a tutti i centri di ricerca pubblica e a tutte le piccole e medie imprese del settore sementiero e vivaistico in Italia), tanto più ci sarà competizione, ma anche collaborazione e ricerca senza fini economici, e quindi benefici per molti. Tocca a noi scegliere se ripetere gli stessi errori o almeno imparare da essi…».
Vito Miraglia