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Prevenzione della contaminazione da aflatossine nel mais

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Il mais, fondamentale per l’alimentazione animale, ha subito negli ultimi anni una progressiva riduzione di superficie coltivata. Un ruolo cruciale lo hanno sicuramente giocato le micotossine che a partire dal 2000 sono state normate a livello comunitario fissando limiti massimi di presenza in vari prodotti.

Le micotossine, sono prodotte durante il periodo di coltivazione, in particolare durante la maturazione, da funghi del genere Aspergillus, Penicillium e Fusarium. Il fungo più temuto è certamente Aspergillus flavus, produttore di aflatossine, le sostanze naturali più tossiche che si conoscano, regolamentate sia per i prodotti destinati all’alimentazione umana sia degli animali. In particolare, per gli animali da latte è in vigore il medesimo limite fissato per l’uomo poiché le aflatossine vengono rilasciate nel latte.

Le aflatossine erano considerate un problema solo nelle zone tropicali e subtropicali fino al 2003 quando per la prima volta si è verificata in Italia una rilevante contaminazione nel mais. Il problema si è poi ripetuto negli anni successivi, seppure con entità minore, per ripresentarsi in modo drammatico nel 2012 in diverse aree europee e quest’anno.

Già dal 2003 il team di ricerca da me diretto ha iniziato a lavorare per affrontare il problema e cercare una soluzione considerando che sia il controllo chimico con fungicidi sia la resistenza genetica della pianta non danno i risultati sperati.

Il sistema che consente invece ottimi risultati è quello di impiegare ceppi non tossigeni di Aspergillus flavus, ovvero combattere il fungo con le sue stesse armi. Si deve al professore Peter Cotty dell’USDA questa intuizione. In natura, le popolazioni di Aspergillus contengono gruppi che producono e altri che non producono le aflatossine. L’obiettivo è quello di far sì che quelli non produttori prendano il sopravvento. Questo è possibile cercando quelli più adatti ad una certa area geografica, fortemente competitori con gli altri, che siano in grado di operare una “esclusione competitiva”, ovvero si sviluppano più rapidamente, sfruttando meglio le risorse nutritive ed escludono agli altri la possibilità di crescere.

Grazie alla tesi di Dottorato di Paola Giorni è stata costituita una grossa raccolta di funghi, poi caratterizzati da Antonio Mauro durante il suo dottorato, svolto in parte con il Prof. Cotty, in modo da individuare i ceppi non tossigeni, da assicurare che questi non possano riacquisire la capacità di produrre la tossina, di definire la loro capacità competitiva e di riduzione della produzione delle aflatossine in presenza di ceppi tossigeni. Tutto questo ha portato nel 2012, sulla base delle prove di laboratorio, a testare in una prova di pieno campo 2 ceppi del fungo che hanno dimostrato una riduzione media delle contaminazioni da aflatossine del 90% rispetto al controllo non trattato. Il ceppo migliore è stato depositato in una micoteca ufficiale e il suo impiego è oggetto di brevetto rilasciato il 4 settembre 2015.

E quindi iniziato il percorso per rendere disponibile il prodotto agli agricoltori che impone il coinvolgimento di partners commerciali. In particolare, Du Pont Pioneer, Coldiretti e Consorzi Agrari d’Italia stanno proseguendo, con ruoli differenti, le prove di efficacia e il percorso registrativo come fitofarmaco.

Il prodotto costituito da sorgo disattivato inoculato con il principio attivo, denominato AF-X1, viene applicato con i comuni spandiconcime alla dose di 25 kg/ha. L’epoca di distribuzione consigliata è con pianta in levata, 5-8 foglie, e comunque con piante che consentano il passaggio del trattore senza subire danni. Le prove sono proseguite dal 2013 al 2015, per un totale di più di 50 campi, un ettaro trattato a confronto con uno non trattato, e la riduzione media della contaminazione è stata superiore all’80%.

Penso che questo possa costituire un ottimo supporto per gli agricoltori e un buon aiuto per la maiscoltura italiana.

 

Foto: Pixabay

Paola Battilani