Il professor Alessandro Gramenzi, docente di Alimentazione animale presso il Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli Studi di Teramo, ci introduce nell’universo felino, aiutandoci a comprendere meglio la natura predatrice dei nostri piccoli animali domestici e, in particolare, il motivo per cui la loro alimentazione dev’essere frequente e ricca di proteine animali.
Differenze alimentari tra gatti e cani
A differenza dei lupi, i gatti sono cacciatori solitari e quindi, di solito, cacciano prede di taglia più piccola rispetto alla propria, e, di conseguenza, necessitano di un numero maggiore di prede al giorno. Questo si riflette sul comportamento alimentare del gatto domestico, che è portato a fare piccoli pasti numerose volte al giorno (con la conseguente possibilità di razionare ad libitum).
Il senso del gusto nei gatti è fondamentalmente basato sul modello carnivoro, come anche nel cane, ma con alcune differenze legate alle specifiche caratteristiche dei fabbisogni nutritivi. Ad esempio, nel gatto ci sono papille gustative sensibili ad alcuni aminoacidi e inibite da altri, quali il triptofano che ha notoriamente un gusto amaro. Questi aminoacidi inibitori del gusto sono in genere rifiutati dal gatto che, quindi, tende a preferire quelli stimolanti come la lisina (dati ottenuti da prove in soluzione pura).
Un’altra differenza rispetto al cane – e caratteristica piuttosto inusuale per gli altri mammiferi -, è la scarsa sensibilità delle papille gustative del gatto agli zuccheri: questi animali non riescono facilmente a selezionare i cibi in base al loro contenuto di zuccheri.
Le unità del gusto sensibili all’acido sono ampiamente simili a quelle del cane, così come quelle sensibili ai nucleotidi (gusto umami). Piuttosto che la sensibilità al gusto “dolce-fruttato” presente nei cani, i gatti hanno dei recettori che rispondono molto bene agli acidi tannici e agli alcaloidi, molto simili (ma non uguali) al gusto amaro dell’uomo.
Queste differenze tra cane e gatto possono essere interpretate come una “specializzazione del modello carnivoro”, insieme a una stretta correlazione a una dieta carnivora obbligata: la perdita di sensibilità agli zuccheri nel gatto non sembra, infatti, essere problematica per un animale che non ottiene energia da queste molecole, e che, pertanto, può prevedere meglio il contenuto di aminoacidi di un alimento, che non viene mascherato dagli zuccheri.
Evoluzione dell’alimentazione felina
All’interno dei vincoli imposti dagli specifici fabbisogni nutritivi il gatto domestico ha una ampio spettro di prede, comprese anche alcuni invertebrati. Alcune di queste sono nutrizionalmente incomplete, perciò è presumibile che il gatto sia in grado di adattare le proprie preferenze alimentari in base alle più recenti esperienze nutritive. I gatti che vivono con l’uomo hanno un maggiore potenziale di scelta degli alimenti rispetto a quelli che, come il gatto selvatico antenato, si nutrono solo cacciando le prede. Quindi è possibile che la domesticazione abbia portato a una ridefinizione del comportamento alimentare, volto all’ottenimento di una dieta bilanciata.
I gatti domestici per questo hanno sviluppato dei meccanismi che li rende capaci di evitare di ripetere esperienze alimentari negative.
Rimane il dubbio se i gatti siano capaci di andare a cercare cibo dotato di una particolare composizione in base a esperienze precedenti, anche per compensare una carenza di uno o più principi nutritivi. C’è anche chi sostiene che da un punto di vista evoluzionistico è improbabile che alcuni meccanismi esistano in un predatore specializzato come il gatto.
I gatti domestici seguono una dieta più equilibrata
Molti gatti mostrano una crescente avversione verso cibi che hanno rappresentato la loro dieta quotidiana nel passato, alcune volte riferibile a un “effetto novità” ma più opportunamente classificabile come “effetto monotonia”, in quanto è il gusto percepito di un alimento ripetuto che influenza questo comportamento.
Questa strategia ridurrebbe per il gatto la probabilità di scegliere una dieta sbilanciata, in quanto due alimenti dal gusto completamente diverso non potranno mai avere le stesse carenze nutrizionali, anche se non direttamente percepite dal gatto.
Quando alimentiamo cani e gatti domestici entrambi mostrano comportamenti molto legati al loro legame al regime carnivoro. Questo è particolarmente vero per il gatto, dove gli specifici fabbisogni nutritivi comportano il mantenimento di un repertorio comportamentale alimentare molto vicino al suo antenato, compresa l’indole da cacciatore. I gatti, inoltre, hanno sviluppato strategie comportamentali flessibili che si basano su esperienze mirate a ottenere una dieta bilanciata indipendentemente dal tipo di cibo disponibile.
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Nadia Comerci