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Quanta acqua per 1 Kg di carne?

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Quindicimila litri contro cinquanta. Sono le quantità di acqua, molto diverse tra loro eppure in un certo senso entrambe corrette, necessarie per produrre un chilogrammo di carne bovina. Una differenza di ben 14950 litri. Come è possibile? Perché, semplicemente, sono il risultato di calcoli differenti: mentre la cifra decisamente più contenuta e molto meno diffusa dai mezzi di informazione – i 50 litri di acqua – riguarda il consumo diretto di acqua dolce da parte degli animali da allevamento, i 15 mila litri di acqua – dato sicuramente di grande impatto e molto utilizzato per titoli di giornale di grande effetto – rappresentano invece il totale del consumo di acqua sia diretto che indiretto da parte del bestiame comprese quindi, ad esempio, le acque piovane.

L’enorme differenza tra le due cifre è stata messa in evidenza da European Livestock Voice – gruppo che riunisce associazioni e federazioni che si occupano di allevamenti, alimentazione e salute animale – in un articolo riportato sul sito della Fefac, la Federazione Europea dei produttori di mangimi: secondo European Livestock Voice il 93% dei 15 mila litri d’acqua necessari per la produzione di un kg di carne bovina, ovvero quasi 14 mila litri, proviene dalle piogge.

L’impronta idrica

Dei 15mila litri di acqua necessari per produrre un kg di carne si è parlato per la prima volta nel 2002, quando è stato ideato il concetto di “impronta idrica” (in inglese water footprint), parametro che misura la quantità di acqua dolce che viene utilizzata per produrre i beni e i servizi che vengono fruiti dall’individuo o dalla comunità. L’impronta idrica è quindi un indicatore dell’uso dell’acqua dolce che guarda non solo all’impiego diretto da parte del consumatore/produttore, ma anche all’uso indiretto, e comprende tre tipologie di fonti d’acqua differenti: blu, grigie e verdi.

Acque blu, grigie e verdi

Le acque blu sono quelle che vengono ricavate dalle risorse idriche superficiali o sotterranee (laghi, fiumi, falde acquifere). L’acqua grigia si riferisce all’acqua necessaria per diluire gli inquinanti (scarichi industriali, acque reflue, ecc) in modo tale che la qualità dell’acqua così ricavata soddisfi gli standard di qualità concordati. Quanto all’acqua verde, si riferisce a una parte delle precipitazioni atmosferiche che, dopo essere stata immagazzinata nel suolo (da qui il termine “acqua verde”) viene incorporata dalle piante e torna al ciclo dell’acqua tramite evaporazione e traspirazione.

L’impronta idrica degli allevamenti è per il 93% da acque verdi

Per calcolare il reale consumo di acqua da parte degli allevamenti è importante considerare la struttura dell’impronta idrica ed esaminare il consumo delle diverse tipologie di acque tra quelle blu, verdi e grigie.

Come si legge nell’articolo, mediamente negli allevamenti il 93% dell’acqua consumata risulta essere acqua verde proveniente da piogge che torna naturalmente al ciclo dell’acqua. Per produrre 1 kg di carne bovina, quindi, se si escludono dal calcolo le acque verdi secondo la comunità scientifica occorrono circa 550-700 litri tra acque grigie e blu (e utilizzando lo stesso approccio si può stimare che per produrre la medesima quantità di carne di maiale sarebbero necessari 450 litri, mentre per 1 kg di carne di pollo 300 litri). Infine, se si escludono dal calcolo anche le acque grigie, secondo l’Istituto nazionale per la ricerca agronomica francese INRA per la produzione di 1 kg di carne bovina sono necessari all’incirca 50 litri di acque blu.

Di queste cifre, però, si sente parlare molto poco, mentre il dato che per produrre 1 kg di carne bovina siano necessari 15 mila litri d’acqua è ormai più che noto: mettere in evidenza solo quest’ultima cifra, però, rischia di trarre in inganno sul reale consumo delle risorse d’acqua del nostro pianeta da parte della filiera zootecnica.

Il Rapporto Fao del 2006

Sempre con riguardo al consumo di acqua da parte degli allevamenti un altro dato che ha destato parecchio clamore è presente nel rapporto FAO del 2006 “L’ombra lunga del bestiame: problemi e opzioni ambientali”, secondo cui l’agricoltura rappresenta il 92% dell’impronta di acqua dolce dell’umanità e quasi un terzo di questa percentuale (circa il 30%, quindi) riguarda i prodotti animali. Un dato, si legge nell’articolo, che è stato spesso frainteso, e in effetti il ​​rapporto è stato poi successivamente rivisto: anche in questo caso, se si eliminano le piogge dal calcolo del consumo di acqua stimato, secondo gli scienziati le industrie del bestiame arrivano a consumare circa l’8% dell’approvvigionamento globale di acqua dolce.

Presenza di allevamenti e siccità

“Non esistono prove che la presenza di bestiame sia correlata al rischio di scarsità d’acqua – si legge nell’articolo di European Livestock Voice -. Ad esempio, in Francia vi è poca sovrapposizione tra le regioni ad alta densità di bestiame e quelle con problemi di disponibilità idrica in estate. Bisogna poi considerare che in alcune regioni, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, gli animali non vengono utilizzati solo per la produzione alimentare, ma anche per fornire energia e fertilizzanti per le colture: molteplici sfaccettature della produzione zootecnica non vengono prese in considerazione quando si considera il consumo di acqua per chilogrammo di prodotto”. “La produzione di bestiame e la scarsità d’acqua dovrebbero essere valutate a livello locale – scrivono – poiché non esiste una carenza idrica globale in quanto tale, ma a livello di singoli Paesi e Regioni”, ed è in ogni singolo caso che il problema dovrebbe essere affrontato, anche perché i modelli globali di studio di questa problematica potrebbero non essere ancora completamente affidabili in quanto “sono nelle prime fasi di sviluppo e non distinguono tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati e i loro relativi sistemi di produzione”.

L’acqua è preziosa: importante misurarne bene il consumo

Come si legge in un articolo pubblicato sulla rivista Animal Frontiers da due ricercatori dell’INRA, “l’acqua è una risorsa preziosa che deve essere conservata a livello globale da tutti i settori dell’economia, compresa l’agricoltura e quindi l’allevamento”. Per la misurazione del suo consumo, scrivono, sono disponibili strumenti molto importanti come l’impronta idrica. “Tuttavia – concludono gli autori dello studio – l’interpretazione dei responsabili politici deve essere perfezionata: la conservazione dell’acqua è necessaria, ma è necessario perfezionare i dati per la misurazione effettiva dei consumi”.

Foto di Dominik Fuchs da Pixabay