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Quanto costa il “no” al mais Ogm

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A parità di numero di semi seminati, con il mais Ogm “otteniamo un 10% in più di produzione. Per ottenere lo stesso quantitativo di mais prodotto oggi in Friuli si potrebbero risparmiare 50 milioni di metri cubi d’acqua, 9.000 TEP (tonnellata equivalente di petrolio) di energia, 45.000 kg di agrofarmaci e 8.000 tonnellate di concimi o, a parità di superfici investite, assorbire 260.000 tonnellate di CO2 dall’atmosfera in più”: a spiegarlo è Marco Aurelio Pasti, presidente dell’Associazione maiscoltori italiani, che in una lettera inviata alla rivista specializzata “L’informatore agrario” illustra perché “il no al mais ogm ha un costo per cittadini e imprese”.

 

“In questi giorni – scrive Pasti – sono in discussione in Friuli Venezia Giulia le regole perla coesistenza tra colture geneticamente modificate, convenzionali e biologiche. L’obbiettivo politico dichiarato dall’amministrazione regionale è impedire la coltivazione di mais geneticamente modificato per resistere alla piralide. Nonostante questo obbiettivo sia perfettamente centrato nel testo messo a punto dagli uffici regionali, il presidente della Regione, Debora Serracchiani, e l’assessore alle attività produttive, Sergio Bolzonello, sono stati accusati dagli oppositori degli Ogm di voler spalancare le porte alla coltivazione di Ogm in Regione.

 

Appare evidente che il no agli Ogm sia la strada che essi ritengono vincente nell’attuale contesto politico. Tuttavia questa strada non è senza costi peri cittadini e le imprese che vivono e operano in Friuli. Infatti, il mais con oltre 90.000 ettari coltivati è la principale coltivazione del Friuli e la piralide è un insetto in grado di causare gravi danni, sia quantitativi sia qualitativi a questa coltivazione. La perdita del raccolto è molto variabile di anno in anno, ma può essere stimata in non meno del 10% della produzione regionale, ovvero in oltre 80.000 tonnellate, per un valore di almeno 16 milioni di euro. A oggi le varietà geneticamente modificate per resistere alla piralide sono il mezzo di gran lunga più efficiente per il suo controllo e sono state ritenute sicure per l’uomo e l’ambiente dall’Efsa (Agenzia europea per la sicurezza alimentare) e dalle più credibili istituzioni internazionali […].

 

Da un punto di vista ambientale andrebbe considerato che il mais resistente alla piralide non solo riduce la distribuzione di insetticidi non selettivi dell’ambiente, ma richiede meno acqua, energia, concimi e agrofarmaci per essere prodotto, dal momento che, a parità di input, otteniamo un 10% in più di produzione. Per ottenere lo stesso quantitativo di mais prodotto oggi in Friuli si potrebbero risparmiare 50 milioni di metri cubi d’acqua, 9.000 TEP (tonnellata equivalente di petrolio) di energia, 45.000 kg di agrofarmaci e 8.000 tonnellate di concimi o, a parità di superfici investite, assorbire 260.000 tonnellate di CO2 dall’atmosfera in più.

 

Quindi da norme che permettano la coesistenza possono derivare tangibili vantaggi per gli agricoltori (oltre 30 milioni di euro), per i consumatori, con minor rischio di contaminazione di micotossine possibili o sicure cancerogene, e per l’ambiente, con minori consumi di energia, concimi e agrofarmaci per unità di prodotto.

 

La distanza tra queste considerazioni e l’immagine creata presso l’opinione pubblica in questi anni è considerevole, grazie a una sistematica azione denigratoria svolta da una certa parte dell’agroalimentare italiano, che vede nella demonizzazione degli Ogm una strategia commerciale per fidelizzare i consumatori, e cavalcata da una certa parte della politica per fidelizzare gli elettori. Questa strategia poggia tra l’altro sull’ipocrita omissione del fatto che da oltre 15 anni quotidianamente gli Ogm entrano pacificamente e incontrastati in Regione tramite camion, treni e navi di soia geneticamente modificata prodotta all’estero e senza la quale una parte importante dei rinomati prosciutti e formaggi friulani non potrebbe essere prodotta.

 

Credo sarebbe importante che la Regione compisse uno sforzo per ridurre la distanza tra la realtà produttiva e la sua immagine presso l’opinione pubblica, perché i buoni governi guidano i cambiamenti, quelli cattivi utilizzano le paure degli elettori“.

 

Foto: Pixabay

red.