Risale a qualche giorno fa l’interessantissimo Convegno, svoltosi presso la Camera dei Deputati e promosso dall’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, “Biotecnologie che aiutano il futuro”. È di alcuni mesi fa l’appello lanciato da oltre cento premi Nobel a favore degli organismi geneticamente modificati. Ed è dello scorso anno la presa d’atto dell’USDA, il Dipartimento per l’Agricoltura del Governo statunitense, dell’innovativa modalità di ricerca dell’editing genetico, una tecnica non assimilabile a quella della precedente generazione dei cosiddetti Ogm. Una nuova frontiera, quella delle new breeding technologies, su cui vi è stata un’apertura anche del nostro Ministro delle Politiche Agricole e, non a caso, nello scorso numero di questa rivista abbiamo provato a fare il punto in materia, per evidenziarne le potenzialità.
Si tratta di tre indizi che, secondo uno schema classico dei romanzi polizieschi, determinano l’esistenza di una prova. Una delle tante prove su questo tema che dimostra ineluttabilmente che l’inesauribile sterile dibattito contro le biotecnologie – che da venti anni occupa il nostro Paese – venga ogni volta superato e smentito dai fatti.
L’Italia, infatti, ha assunto da sempre sulle biotecnologie una posizione di retroguardia, rinunciando addirittura a tenere alto il prestigio conquistato nella ricerca scientifica in agricoltura ed arrivando ad imporre da due decenni uno stop all’innovazione che ha avuto effetti devastanti su di essa, relegandola a un ruolo da comprimaria nel panorama non solo internazionale, ma anche interno. Da qui anche il continuo, costante aumento della dipendenza dall’estero di prodotti agricoli del nostro Paese per sopperire alla carenza della produzione nazionale.
Motivazioni valide a questo comportamento? Nessuna! Motivazioni reali? Sempre le stesse: pregiudizio, ipocrisia, facile populismo, convenienza politica, incapacità di decidere, mero interesse di parte. Peccato però che a farne le spese sia stato fino ad ora non solo il settore agroalimentare ma l’intero sistema Paese.
Il ritardo imposto a danno della ricerca scientifica è ancora più grave perché rappresenta, oltretutto, una violazione della nostra tanto decantata Costituzione che all’articolo 9 recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.”. Costituzione che – si badi bene – deve rappresentare un riferimento soprattutto per il nostro Legislatore e per i nostri politici.
Ora sembra che di fronte alle new breeding technologies – o tecnologie “verdi” – qualche timido segnale di ripensamento inizi a farsi strada e pare aprirsi uno spiraglio anche tra coloro che si sono mostrati finora intransigenti in materia di biotecnologie.
Un fatto importante perché rilanciare la competitività e la produttività dell’agricoltura è necessario per il nostro Paese, soprattutto in un comparto come quello agro-alimentare che rappresenta un settore strategico sotto il profilo economico e per aumentare l’auto-approvvigionamento alimentare ed invertire il trend di continuo incremento delle importazioni dall’estero.
Occorre però raggiungere la consapevolezza che la ricerca è la base del rafforzamento delle infrastrutture della nostra società ed è il motore per l’innovazione, lo sviluppo e il benessere del nostro Paese.
Del resto, in campo agroalimentare, la ricerca scientifica e le sue applicazioni hanno consentito storicamente spettacolari avanzamenti quantitativi e qualitativi. Ed è in questo contesto che le muove tecnologie “verdi” come la cisgenesi, il genome-editing, il silenziamento genico possono rappresentare una svolta importante per l’agricoltura italiana. E ancor più, possono farlo senza farci perdere la nostra identità, aiutandoci ad innovare la tradizione e a salvare l’immenso patrimonio genetico delle produzioni tipiche italiane.
Oggi queste nuove tecnologie, unitamente a un auspicabile rinnovato interesse per il ruolo della ricerca in agricoltura, possono offrire l’occasione per mettere da parte e superare le contrapposizioni che hanno caratterizzato oltre 20 anni di dibattiti improduttivi. Ciò nella consapevolezza che solo valorizzando il ruolo della nostra ricerca pubblica – che si basa su centri di assoluta e indiscussa eccellenza – possiamo riuscire a valorizzare i punti di forza del nostro agroalimentare e fornire agli operatori quegli strumenti necessari a favorire la crescita del settore agroalimentare e del sistema-Paese nel suo complesso.
Ma è necessario lavorare anche a livello europeo, perché la stessa UE sottragga le nuove biotecnologie dalla palude di divieti che riguardano i cosiddetti organismi geneticamente modificati, superando un empasse terminologico non più giustificabile e consentendo di sfruttare l’immenso potenziale di queste nuove tecnologie in grado di mettere a disposizione un’innovazione su misura per la nostra agricoltura con grandi benefici, anche, per l’ambiente, per la biodiversità e per il consumatore finale.
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Giulio Gavino Usai