Fabio Rolfi è assessore regionale all’Agricoltura, alimentazione e sistemi verdi della Regione Lombardia. Nel 2019, secondo gli ultimi dati Istat, la regione è risultata la prima per produzione agricola con oltre 8 miliardi di euro e 3,8 miliardi di valore aggiunto. Tra le prime dieci province per valore della produzione la Lombardia ne presenta tre: Brescia, seconda dietro Verona, e Mantova e Cremona, in quinta e ottava posizione.
In Lombardia la suinicoltura è un settore molto fiorente: più del 50% dei suini allevati in Italia si trova in questa regione. Qual è stata l’entità della crisi subita dal settore?
La suinicoltura è uno dei settori più colpiti dagli effetti economici del CoVid. Dopo un’iniziale tenuta del sistema, negli ultimi mesi le quotazioni del suino italiano Dop hanno fatto registrare un pericoloso calo e si sono stabilizzate ampiamente sotto i costi di produzione. Questo è dovuto principalmente alla chiusura totale del canale Horeca, che solo ora si sta lentamente riprendendo, e anche a una contrazione dell’export. La Lombardia è la prima regione italiana per numero di suini allevati: con 4,5 milioni di capi rappresentiamo il 53% del totale nazionale. Chiediamo al Governo risposte rapide e fondi specifici per il settore.
Dai salami alla coppa al cotechino, per citare solo alcune delle eccellenze in campo zootecnico, la Lombardia è tra le regioni con il maggior numero di Dop e Igp. Quali ricadute ci sono state per la Dop economy regionale?
Gli allevamenti lombardi sono un pilastro delle grandi filiere d’eccellenza dei prodotti Dop. Quindi la nostra regione ha subito più di altre il contraccolpo. In questo periodo sto visitando decine di allevamenti per capire, al di là dei dati, l’andamento reale del mercato. I nostri allevatori hanno voglia di fare, hanno idee innovative. La Regione Lombardia è al loro fianco nelle grandi battaglie relative alla sburocratizzazione, alla promozione dei prodotti e al costante miglioramento della sostenibilità produttiva, ambito nel quale le nostre aziende sono leader a livello europeo.
Che tipo di intervento ha messo in atto la Regione per sostenere la filiera suinicola?
Abbiamo riunito, insieme all’Emilia-Romagna, il tavolo della filiera. Siamo intervenuti per tutelare la redditività delle aziende agricole, oggi particolarmente sotto stress per la situazione complessiva. Abbiamo chiesto al Governo di sbloccare i fondi dedicati alla promozione e alla valorizzazione dei prodotti suinicoli, in particolare dei prosciutti Dop, sia sul mercato interno che all’estero. Abbiamo liquidato l’anticipo della Pac, stiamo lavorando per togliere tutta la burocrazia in eccesso, semplificando la vita ai nostri allevatori. È chiaro però che serve un intervento complessivo di tutti gli enti istituzionali. Una cosa è certa, nel prossimo Psr della Lombardia la zootecnia sarà ancora al centro; stiamo lavorando per un piano di settore nazionale dedicato alla zootecnia.
Nel corso dell’emergenza non ha mancato di rilanciare l’idea di un patto di filiera, anche congiuntamente all’assessore all’Agricoltura Mammi dell’Emilia-Romagna. Quali benefici può dare al settore nel medio-lungo periodo un’intesa del genere?
Il settore suinicolo non può uscire dalle difficoltà se si trova in una situazione di grande litigiosità, frammentarietà e senza una visione comune di fronte alla possibilità di intercettare i pochi fondi messi a disposizione dal Governo. Per questo il mio invito è quello di sottoscrivere un patto di filiera tra gli attori del comparto per condividere obiettivi a breve e medio periodo, con l’intento di sostenere il settore ripartendo il valore tra i diversi livelli. Occorre sostegno al comparto delle cosce marchiate, quindi dei circuiti di qualità, ma serve immaginare anche produzioni ulteriori che consentano di ridurre i volumi dei prosciutti mandati a crudo nei momenti di crisi, ragionando sulla smarchiatura a cotto, e di promuovere con la Grande distribuzione organizzata il consumo di carne di suino italiano. Così come ragionare concretamente su iniziative per valorizzare tutta la carne di suino italiano, non solo la coscia, sfruttando a meglio anche il recente obbligo di etichettatura di origine in grado di dare un plus al valore della carne di suino nazionale. Altro obiettivo è quello relativo alla riforma dei consorzi. Non è possibile che si programmino le produzioni e le strategie commerciali senza coinvolgere minimamente gli allevatori, che devono invece essere protagonisti nella gestione, come avviene per esempio nel comparto lattiero caseario. La condivisione della produzione deve essere un valore anche per una sostenibilità economica di tutto il settore.
La Commissione europea non ha opposto resistenza all’introduzione obbligatoria in etichetta dell’origine delle carni suine nei salumi. Come giudica questa novità normativa?
Il via libera al decreto che prevede l’etichetta con l’indicazione di provenienza sui salumi è un importante risultato frutto di un lavoro congiunto sostenuto dalla Regione Lombardia. Una vittoria per i consumatori che sempre più chiedono carne certificata made in Italy e che hanno diritto a conoscere l’origine di ciò che mangiano. Ora bisogna dare rapida attuazione al decreto e lavorare per creare una vera filiera suinicola italiana.
Salvatore Patriarca