Il microbiota è l’insieme di microrganismi che risiedono in un habitat definito come l’intero organismo o parte di esso, per esempio la cute, l’intestino o la cavità orale di un mammifero. Il microbiota del tratto gastrointestinale dei mammiferi, la cui entità è dell’ordine di 10 volte superiore alla numerosità delle cellule dell’ospite, è fondamentale nel plasmare molte funzione biologiche dell’organismo grazie al suo enorme potenziale genetico che eccede la capacità codificante del genoma dello stesso ospite. Ad esempio, il genoma collettivo della popolazione batterica dei mammiferi è di circa 3 milioni di geni contro i “soli” 25.000 geni del genoma umano (Qin et al., 2010). Ormai è assodato che il microbiota partecipa a diversi funzioni dell’organismo ospitante, fra le quali le più importanti sono quelle nutrizionale, immunologica e protettiva. Un’ampia letteratura ha esplorato queste attività e ad essa si rimanda per i necessari approfondimenti (Gibson and Roberfroid 1995; Suau et al. 1999; Bäckhed et al. 2005; Ley et al. 2005; Niess et al. 2005; Gill et al. 2006; Turnbaugh et al. 2006; Cani et al. 2007; Frank et al. 2007; Cani et al. 2008; Ley et al. 2008; Mazmanian et al. 2008; Sartor 2008; Sokol et al. 2008; Costello et al. 2009; Ivanov et al. 2009; Round and Mazmanian 2009; Turnbaugh et al. 2009; Arumugam et al. 2011).
Questo articolo richiama brevemente le principali acquisizioni scientifiche sul ruolo del microbiota nei ruminanti.
L’importanza del microbiota
Il microbiota si nutre delle sostanze derivate dal metabolismo dell’ospite o metabolizzando direttamente quelle che non vengono digerite, rilasciando energia e producendo una serie di molecole bioattive che oltre ad avere un’azione diretta sull’epitelio intestinale, raggiungendo il sistema circolatorio agiscono anche a distanza sui processi metabolici di diversi distretti dell’organismo. Tra questi il più studiato nell’uomo è l’asse intestino-cervello che interessa il sistema neuroenterico (gut-brain axis) (Bravo et al. 2011; Collins et al. 2012; Nicholson et al. 2012; Petra et al. 2015; Stilling et al. 2015; Zhou and Foster 2015). Le implicazioni, anche di carattere etico, che possono derivare dallo studio di tale interazione, sono facilmente intuibili ed è immaginabile l’uso improprio che l’industria alimentare può fare dei batteri per condizionare il comportamento dei consumatori o per aumentare fra essi l’accettabilità di un determinato prodotto, anche se la risposta alla stessa dieta è estremamente variabile tra individui. Al microbiota inoltre è stato riconosciuto, grazie all’impatto sistemico che ha sulla fisiologia dell’ospite, il ruolo di fattore chiave, in combinazione con il genotipo e la dieta, nello sviluppo di molte malattie croniche (Lodes et al. 2004; Frank et al. 2007; Sartor 2008; Claesson et al. 2012).
Il microbiota del rumine
Il microbiota ruminale è tra i più studiati e più importanti ecosistemi microbici. Com’è ampiamente noto, esso è essenziale per uno sviluppo fisiologico corretto dell’animale e per la capacità di trasformare carboidrati vegetali complessi, le fibre indigeribili dagli enzimi dell’apparato digerente dei ruminanti, in alimenti ad altissimo valore biologico quali la carne e il latte. Con l’incremento della domanda di prodotti di origine animale, diventa sempre più pressante la necessità di aumentare l’intensità e l’efficienza dei sistemi zootecnici. Una migliore comprensione del sistema gastrointestinale dei ruminanti, e in particolare del metabolismo microbico ruminale, può concorrere in maniera determinante a ottimizzare l’efficienza e la sostenibilità delle produzioni zootecniche.
Storicamente lo studio della microbiologia ruminale avveniva con tecniche basate sulle coltivazione della popolazione microbica con l’ausilio di terreni di coltura più o meno selettivi. Purtroppo, la gran parte dei microorganismi anaerobi ruminali non sono coltivabili, per cui la tecnica ha sempre fornito un quadro parziale dell’ecosistema microbico. Con l’avvento delle nuove tecnologie di sequenziamento del genoma, il problema della coltivabilità dei microrganismi è stato superato, per cui l’utilizzo della metagenomica ha permesso di allargare e approfondire le conoscenze sul microbiota del tratto gastrointestinale dei mammiferi, aprendo la strada a nuovi e affascinanti campi di ricerca.
La colonizzazione del tratto gastrointestinale prima dello svezzamento è molto importante nei ruminanti, perché ne influenza lo sviluppo iniziale e ne condiziona la salute e le performance anche dopo lo svezzamento. Un recente studio sul microbiota di diversi tratti gastrointestinali del vitello (rumine, digiuno, ileo, cieco e colon) (Malmuthuge et al. 2014) ha messo in evidenza una differenza nella composizione della comunità microbica nei vari tratti, con una biodiversità maggiore nel rumine rispetto agli altri tratti gastrointestinali, confermando la complessità ecologica propria di questo comparto; gli stessi autori, inoltre, mettono in evidenza una segregazione del microbiota tra epitelio e digesta nei vari tratti, suggerendo un differenziazione funzionale della comunità microbica all’interno del tratto gastrointestinale stesso.
La colonizzazione dell’ecosistema ruminale procede dalla nascita fino all’età adulta in maniera graduale, con la diminuzione dei taxa a cui appartengono batteri aerobi e anaerobi facoltativi e l’incremento dei taxa di batteri anaerobici. Tuttavia, alcuni batteri essenziali per la funzionalità ruminale in età adulta, sono presenti già a partire dalle 24 ore di vita, molto prima che il rumine sia attivo o che sia stata ingerito materiale vegetale (Jami et al. 2013). Analogamente, nei neonati il microbiota gastrointestinale presenta geni per la degradazione di polisaccaridi prima che si sia verificata l’ingestione di alimenti solidi (Hehemann et al. 2010; Yatsunenko et al. 2012). Questo suggerisce che il microbiota riflette adattamenti evoluzionistici ed epigenetici accanto all’acquisizione di tratti metabolici materni, in parallelo con quelli che riflettono una recente esposizione della madre a una specifica dieta (Salonen and De Vos 2014).
Recenti studi hanno dimostrato in vacche l’associazione di alcuni taxa microbici con l’efficienza di utilizzazione degli alimenti e la produzione e la composizione del latte (Guan et al. 2008; Hernandez-Sanabria et al. 2010; Carberry et al. 2012; Hernandez-Sanabria et al. 2012; Jami et al. 2014).
Un recente studio (Trevisi et al. 2014), non direttamente volto allo studio del microbiota ruminale, ha dimostrato che il rumine può ricevere ed elaborare segnali proveniente da cellule del sistema immunitario presenti nel contenuto ruminale o in altri organi. Il rumine, quindi, partecipa attivamente al cross talk con il tessuto linfatico della cavità orale e promuove azioni regolatrici a livello locale e sistemico. Tra questi, gli autori ricordano l’ingestione di sostanza secca, parametro importantissimo per il soddisfacimento dei fabbisogni nutritivi dei ruminanti ad alto livello produttivo. Questa interazione è evidente anche in animali affetti da acidosi ruminale subacuta, nei quali, in seguito all’aumento della permeabilità intestinale, viene rilasciato in circolo un’enorme quantità di endotossine batteriche (il lipopolisaccaride, Lps) prodotte sia a livello del rumine che del tratto distale dell’intestino. Il risultato finale è che la concentrazione di Lps aumenta causando un’alterazione del metabolismo dell’animale, che si concretizza nell’aumento ematico della concentrazione di glucosio e di acidi grassi non esterificati, che, tra le altre cose, influenza negativamente il livelli d’ingestione dell’animale. Gli immunogeni batterici portano, inoltre, a una riduzione dell’apporto di nutrienti per la sintesi del latte con un deterioramento della funzione dell’epitelio ghiandolare mammario (Dong et al. 2011). Un approccio Systems Biology permetterà in futuro di proporre nuovi modelli d’interazione tra microrganismi, all’interno della comunità microbica e tra questa e l’ospite.
I rapporti fra microbiota e ospite
La capacità dell’ospite di definire il suo microbiota è stata dimostrata in studi d’incrocio tra diverse linee di topi, nei quali 18 Qtl (quantitative trait locus, ovvero una determinata regione del Dna associata ad un carattere quantitativo) erano legati all’abbondanza relativa di particolari specie microbiche (Benson et al. 2010). In altre parole, genoma dell’ospite e microbiota erano legati. Lo studio dell’associazione tra Qtl legati alla produzione e qualità del latte e la presenza di determinate specie microbiche può portare in breve tempo alla determinazioni di biomarker da utilizzare nella selezione animale. Il legame ospite-microbiota è stata dimostrata nella vacca da latte da Weimer et al. (2010) i quali hanno scambiato il contenuto ruminale di due vacche che consumavano la stessa razione, ma che avevano un profilo fermentativo differente (diverso pH e acidi grassi volatili). Soltanto 24 dopo lo scambio, il profilo è tornato nella stessa vacca ai livelli precedenti, e a distanza di 2-3 settimane la comunità batterica era tornata alla condizione precedente lo scambio delle digesta.
L’enorme importanza del microbiota gastrointestinale ha portato alla formulazione della cosiddetta “teoria dell’ologenoma”. Questa teoria postula che l’olobionte (il macrorganismo ospite più i microrganismi a lui associati) e l’ologenoma (la somma dell’informazione genetica dell’ospite più quella dei microrganismi ad esso associati) agiscano in concerto tra di loro come un’unica entità biologica anche a livello evolutivo. Se questa teoria fosse confermata, si può soltanto intuire quale potrà essere l’importanza del microbiota del tratto gastrointestinale per la selezione animale: potendo il microbiota insieme al genoma dell’ospite essere trasmesso da una generazione all’altra (conservandosi cioè le caratteristiche uniche dell’olobionte), la selezione dei soggetti più performanti andrà ridisegnata su questo nuovo superorganismo. La conoscenza di queste interazioni potrebbe consentire d’incrementare la capacità della genetica di migliorare il sistema delle produzioni animali.
Recentemente è stato individuato nelle pecore un fenotipo per la bassa produzione di metano, ereditabile e probabilmente legato al tempo di ritenzione medio degli alimenti nel rumine (Mrt). Pecore con alta produzione di metano presentavano un maggiore Mrt (sia nella frazione fluida e che in quella particellare), rispetto a pecore a bassa emissione che presentavano un contenuto ruminale minore e un Mrt breve. È stato anche dimostrato (Hegarty et al. 2007; Zhou et al. 2009) che animali con basso residual feede intake (l’Rfi è un indice che consente di scegliere animali che producono quanto altri, ma che consumano meno alimenti) producono meno metano rispetto a quelli ad elevato Rfi. Un recente studio (Carberry et al. 2012) ha evidenziato la correlazione tra questi due fenotipi (basse e alto Rfi) e particolari genotipi dei metanogeni; questi ultimi, infatti, differiscono per la loro efficienza nella produzione di metano, data dalla diversa capacità di competere per l’H2 e/o dalla capacità di associarsi con gli idrogeno produttori.
Anche il tasso di diluzione può influenzare il microbiota ruminale e agire, quindi, sulla degradabilità degli alimenti. È pertanto essenziale che ogni sua variazione, mirata a ottenere un desiderato fenotipo, come ad esempio quello caratterizzato da una bassa emissione di metano, non porti a una riduzione dell’efficienza produttiva e dell’adattamento dell’animale all’ambiente in cui deve vivere.
Lo studio del microbiota ruminale con tecniche omiche può portare alla scoperta di nuovi microrganismi e geni (che possono essere clonati ed espressi in altri microrganismi), che permettono ai ruminanti d’ingerire piante che altrimenti sarebbero tossiche. Nel caso della ferula, per esempio, alcuni animali mostrano meno sensibilità rispetto ad altri e sarebbe interessante studiare e capire se alcuni microrganismi riescono a neutralizzare i composti tossici di questa pianta. Un esempio molto noto è quello del batterio Synergistes jonesii che degrada il piridinediolo, composto tossico presente in Leucaena leucocephala, specie ampiamente utilizzata nell’alimentazione dei ruminanti nei paesi tropicali.
Altri approcci a cui lo studio della microbiologia ruminale può dare nuova linfa sono la vaccinazione per eliminare determinate popolazioni microbiche al fine di realizzare un desiderato fenotipo: vaccinazioni contro i metanogeni (Wright et al. 2004) e Streptococcus bovis (Gill et al. 2000), sono stati già messe a punto.
Un ultimo aspetto di sicura rilevanza tecnologica riguarda l’utilizzo di microrganismi ricombinanti per indirizzare il microbiota del rumine verso un determinato metabolismo (Denman and McSweeney 2015).
Futuri sviluppi
Al di là del rumine, gli studi dei microbiota degli altri tratti intestinali dei ruminanti sono rari. Data l’importanza sempre maggiore che sta acquisendo questo argomento per la salute e per un corretto sviluppo dell’ospite, non sarebbe azzardato pensare che anche nei ruminanti l’equilibrio intercompartimentale del tratto digestivo e l’efficienza del microbiota giochi un ruolo essenziale nel benessere dell’animale. Sarebbe interessante studiare anche nei ruminanti se le disbiosi, manifeste come alterazione del microbiota, del tratto distale dell’intestino, legate a stress da caldo o a qualsiasi altro stress ambientale o nutrizionale, influiscono sullo stato generale di salute dell’animale, sulla produzione di latte o di carne. Questi studi potrebbero permettere d’individuare nuovi biomarker, capaci di fornire informazioni su eventuali infiammazioni permanenti dell’epitelio intestinale, o su shift metabolici che si riflettono su una diminuzione dell’efficienza di utilizzo degli alimenti. Infine, l’uso delle feci come marker in queste analisi eliminerebbe ogni tipo di esame invasivo, promuovendo ulteriormente il benessere e la produttività dei ruminanti domestici.
In conclusione, malgrado l’importanza del fenotipo, l’abilità di caratterizzare il fenoma del rumine rimane più un’aspirazione che una realtà. Come giustamente ci ricordano Denman and McSweeney (2015), considerate anche le enormi capacità acquisite nel caratterizzare il genoma del microbiota, risulta necessario sviluppare nuovi strumenti e approcci che consentano di caratterizzare il fenoma sotto diverse condizioni, dato che questo rappresenta l’ultimo step di una cascata di eventi metabolici che sono prodotti da una porzione più o meno ampia del metagenoma. A fini applicativi, l’obiettivo tecnologico consiste nella possibilità di orientare la risposta animale alle diete in quanto associate all’influenza del microbiota. Poiché la risposta animale è il risultato finale dell’interazione tra le caratteristiche dell’ospite, i susbtrati disponibili, l’equilibrio microbico del digerente e la capacità di quest’ultimo di generare effetti epigenetici sull’ospite, si ritiene prioritaria l’enfasi della ricerca sullo studio sincrono del microbioma e della fisiologia animale come fenomeno biologico unico e strettamente associato.
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Francesco Fancello, Alberto Stanislao Atzori, Giuseppe Pulina