In un periodo storico in cui la produttività italiana stenta a decollare l’agricoltura è uno dei pochi settori in crescita della nazione. A svelarlo è il venticinquesimo Rapporto Italia di Eurispes, secondo cui tra il 1992 e il 2011 il settore primario ha registrato un tasso di crescita del 2,9%, simile a quello delle attività finanziarie e assicurative (+2,6%) e dei servizi di informazione e comunicazione (+2,4%).
Nel caso dell’agricoltura nel solo 2011 la produttività del lavoro è aumentata del 2%. Tuttavia anche il settore agricolo è stato protagonista di un affievolirsi della crescita, fenomeno il cui responsabile principale è stata la diminuzione del contributo del capitale per ora lavorata. Ciò esclude l’agricoltura dai settori che tra il 1992 e il 2011 hanno fornito l’apporto maggiore alla crescita complessiva della produttività del lavoro: industria, commercio, trasporto, alloggio e ristorazione.
Secondo Eurispes le cause della bassa crescita della produttività italiana sono la scarsa innovazione, la scarsa valorizzazione del capitale umano, il ritardo nell’adozione dell’Information and Communication Technology e un’inadeguata governance dei processi sia a livello privato, sia a livello pubblico. La situazione sottolinea un problema fondamentale del Paese che può essere collegato all’aggravarsi di problematiche nella struttura produttiva, nella dimensione delle imprese (che sono ancora troppo piccole per riuscire a raggiungere economie di scala, entrare in settori avanzati e ottenere efficienza.), negli investimenti e nell’innovazione (entrambi mancanti). Paradossalmente, in Italia i bassi investimenti (quelli fissi sono solo il 22% del valore aggiunto) convivono con alti profitti. In particolare, negli ultimi dieci anni gli investimenti in macchinari che alimentano le capacità produttive sono diminuiti del 9,8%. Il mancato reinvestimento dei profitti, che sono stati destinati agli azionisti, a “super bonus” per i manager e ad operazioni finanziarie, ha sottratto possibilità di crescita alle imprese e ha alimentato le attività della finanza, della speculazione e delle rendite. Non solo, in Italia si preferisce adottare nuovi processi acquistando macchinari – in genere destinati a sostituire lavoratori – dall’esterno piuttosto che nuovi prodotti in grado di espandere produzione e occupazione con risorse interne. Una tendenza del tutto controproducente. Secondo Eurispes, infatti, sono “le imprese che realizzano nuovi prodotti quelle che riescono a vendere a prezzi maggiori, con meno concorrenza, ma anche a distribuire salari e profitti più alti”.
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Silvia Soligon