La minaccia degli Stati Uniti d’imporre un dazio del 25% sulle merci provenienti dalla Cina che contengono “tecnologie industrialmente significative” ha indotto il Paese asiatico a redigere una lista di prodotti statunitensi che, come ritorsione, saranno sottoposti a tariffe doganali. Tra questi figura anche la soia, che sarà tassata con un dazio del 25%. Come riporta un editoriale pubblicato sul sito World Grain, al discorso pronunciato il 14 giugno dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, con cui ha annunciato l’introduzione dei dazi, i funzionari cinesi hanno immediatamente reagito informando che avrebbero imposto barriere commerciali “della stessa portata e della stessa entità”.
L’American soybean association (Asa) sottolinea che mesi fa il Dipartimento del Commercio cinese aveva annunciato che imporrà come ritorsione dazi su 106 beni prodotti dagli Stati Uniti, per un valore di circa 50 miliardi di dollari. Nel provvedimento è inclusa anche la tariffa doganale del 25% sui semi di soia, che secondo l’Asa potrebbe essere devastante per i coltivatori nordamericani, che soltanto l’anno scorso hanno esportato 14 miliardi di dollari di questa merce in Cina. “I prezzi delle colture sono diminuiti del 40% negli ultimi cinque anni e il reddito agricolo è diminuito del 50% rispetto al 2013 – afferma Davie Stephens, Vicepresidente di Asa -. Un recente studio degli economisti della Purdue University prevede che le esportazioni della soia in Cina potrebbero diminuire del 65% se la Cina imporrà una tariffa del 25% sui semi di soia statunitensi. Come coltivatore di soia, dipendo dal commercio con la Cina: la Cina importa circa il 60% delle esportazioni totali di soia degli Stati Uniti, quasi un filare su tre di tutta la soia raccolta”.
Il Presidente Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti imporranno i dazi anche se la Cina dovesse assumere misure di ritorsione. A suo avviso le tariffe doganali statunitensi sarebbero fondamentali per impedire trasferimenti sleali di tecnologia e proprietà intellettuale in Cina. “Inoltre – si legge in un comunicato della Casa Bianca -, serviranno a compiere un primo passo verso il bilanciamento delle relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina”. Il Governo cinese ha risposto che queste tariffe avrebbero invece danneggiato le relazioni commerciali tra i due Paesi, e che l’offerta della Cina di acquistare prodotti americani aggiuntivi per un valore di 70 miliardi di dollari non era più valida.
Questa situazione non preoccupa solo i produttori statunitensi di soia, ma anche i coltivatori di grano. “Gli agricoltori americani che producono grano stanno combattendo con una siccità continua, con prezzi delle materie prime storicamente bassi e con l’incertezza commerciale – afferma Jimmie Musick, Presidente della National association of wheat growers -. L’aggiunta di una tariffa del 25% sulle esportazioni in Cina per il grano statunitense è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno ora”.
Condividono quest’opinione anche i membri della National Corn Growers Association (Ncga). “Gli agricoltori sono impegnati nei campi e devono poter contare sui mercati – dichiara Kevin Skunes, Presidente dell’Ncga -. Non possono permettersi i danni immediati arrecati dalla rappresaglia, né l’erosione a lungo termine dell’accesso al mercato e delle partnership economiche con alcuni dei nostri amici e alleati più stretti”. Per questo motivo, i produttori e i gruppi industriali chiedono al Congresso degli Stati Uniti di convincere l’amministrazione a fermare le tariffe e a tornare al tavolo dei negoziati.
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n.c.