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Soia: ritratto del nuovo protagonista dell’alimentazione animale

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L’uso della soia nell’alimentazione animale è in continuo aumento. Questo legume viene utilizzato quasi esclusivamente sotto forma di farine di estrazione che hanno subito trattamento termico, o comunque di soia trasformata o diversamente trattata (estrusa, fioccata). Salvo rare eccezioni, l’uso del seme crudo è limitato a causa della presenza di fattori antinutrizionali che inibiscono la completa utilizzazione delle proteine da parte degli animali.

Ma quali sono le caratteristiche della soia che la rendono così appetibile per gli operatori del settore mangimistico? Lo abbiamo chiesto a Rosanna Scipioni, esperta dell’Università di Modena e Reggio Emilia e Editor-in-Chief dell‘Italian Journal of Animal Science.

Professoressa Scipioni, per quale motivo la soia è il legume favorito nell’alimentazione animale?

Ciò che rende la soia estremamente interessante in nutrizione animale è l’elevatissima concentrazione in proteine di alto valore biologico, che dopo l’estrazione dell’olio e la concomitante tostatura (buona anche la resa olearia, del 18% circa) raggiunge il 44-45%, salendo al 50% per farine di estrazione derivanti da soia decorticata.
Inoltre l’eccellente spettro aminoacidico ha sempre fatto della soia il legume prediletto, l’alimento più ricco di aminoacidi limitanti, lisina soprattutto, del mondo vegetale. Il relativamente basso tenore di metionina non compromette affatto le sue pregevoli caratteristiche, in quanto facilmente sanabile.

Quali sono gli effettivi vantaggi nutrizionali di questa scelta rispetto agli altri legumi?

I legumi si caratterizzano per la presenza di fattori antinutrizionali e la soia come già detto non fa eccezione, ma il confronto con gli altri legumi la vede in posizione di netto vantaggio. Negli altri legumi non solo la concentrazione di fattori antinutrizionali è più elevata, ma si presenta anche la problematica dei tannini, responsabili di effetti sequestranti nei confronti di alcuni principi nutritivi e di sapori spesso sgraditi agli animali. Inoltre i tannini sono praticamente impossibili da annullare, a differenza degli inibitori delle proteasi (nella soia sono di due tipi, il Kunitz e il Bowman-Birk, inibitori della tripsina e della chimotripsina), che sono eliminabili quasi totalmente con l’alta temperatura.
Gli altri legumi contengono una minor quantità di proteine, inferiore di oltre il 10% rispetto alla farina di estrazione. Per motivi dettati dalle produzioni biologiche o dalle esigenze di realtà zootecniche locali sono tuttavia numerose le indagini tese ad individuare alimenti alternativi alla soia: fino a poco tempo fa l’alternativa prevalente era il favino, mentre oggi è il pisello proteico, di composizione più bilanciata.

Ci sono risvolti positivi per la salute degli animali in un’alimentazione ricca di soia?

Difficile parlare di specifici effetti sullo stato di salute degli animali, ma qualche considerazione può essere fatta. Un primo spunto può essere preso dal fatto che la selezione ha prodotto, in generale, animali sempre più magri, con conseguente progressivo aumento dei fabbisogni proteici, mentre non sono altrettanto cresciute, in proporzione, le capacità di ingestione, nonostante i favorevoli effetti esercitati in questo senso dal livello proteico della dieta, riconducibili ad esempio, nei bovini da carne, all’effetto tampone esercitato dall’ammoniaca a livello ruminale e/o ad aumentata digeribilità dell’amido. Questa valutazione consente di attribuire un ruolo importante a un alimento ricco di proteine di elevato valore biologico come la soia, che contribuendo ad un ottimale soddisfacimento di sempre maggiori fabbisogni proteici e aminoacidici non può che favorire un buono stato di salute e di benessere degli animali. La relazione tra alimentazione e salute deve infatti avere come primo obiettivo l’ottimizzazione nutrizionale e una ricaduta per la salute ed il benessere animale, coinvolgendo anche aspetti qualitativi delle carni ottenute.

Un’ulteriore considerazione collegabile alla salute può derivare dal fatto che il miglioramento genetico ha consentito, partendo da varietà naturalmente presenti, l’ottenimento di soia a ridotto contenuto di fattori inibitori delle proteasi (10-12 mg/g contro 22 mg/g e oltre), che oltre a permetterne l’utilizzo diretto in azienda (obiettivo primario di tali studi) offrirebbe, anche in misura superiore rispetto alla soia full-fat estrusa o tostata, la possibilità di abbinare all’elevato valore biologico delle proteine il positivo spettro acidico in acidi grassi polinsaturi dell’olio di soia, con la prospettiva di un possibile arricchimento in CLA dei prodotti di origine animale (latte e carne bovina in primis). Poiché il significato funzionale di tali componenti dietetiche è connesso alle esigenze della medicina preventiva umana, la salute animale è da considerare in questo caso un intermediario, che utilizza acidi grassi come l’acido linoleico, ma con la necessaria attenzione alle dosi. Non va dimenticato, ad esempio, che l’acido linoleico può deprimere l’attività batterica ruminale e compromettere la qualità dei salumi tipici, come il prosciutto.

L’introduzione della soia nella mangimistica ha portato a vantaggi qualitativi in termini di carni?

Molte delle caratteristiche favorevoli alla propria salute che l’uomo cerca oggi nelle carni possono venire esaltate dall’utilizzazione della soia in alimentazione animale: riduzione della quota lipidica, migliore qualità del grasso con più favorevole equilibrio fra acidi grassi saturi e insaturi particolarmente a favore dei PUFA, riduzione del colesterolo, aumento di isoflavoni. In molti casi si tratta di miglioramenti qualitativi che possono rendere le carni degne della qualifica di alimenti funzionali.

Quali sono le prospettive della soia in ambito mangimistico e zootecnico?

La domanda di soia è indubbiamente in crescita, anche a seguito delle enormi esigenze dei Paesi orientali e dell’aumentata richiesta per l’alimentazione umana. E’ evidente che l’aumento di prezzo conseguente alla maggiore domanda non potrà certamente essere sostenuto dal settore zootecnico ed è inevitabile che a fianco di forme di soia no-OGM sia sempre più disponibile soia OGM. È ormai dimostrato che la produzione di soia OGM ha costi inferiori (15% circa) e ciò è confermato anche dalle quotazioni italiane di borsa. Sarà perciò sempre più difficile, per gli allevatori italiani che producono latte o carni con disciplinari che vietano l’uso di OGM, potersi approvvigionare di fonti proteiche adeguate.
In quanto alle prospettive specifiche, si deve riconoscere che il mondo non si sfamerà con le produzioni biologiche o con eccellenze locali o di nicchia. Anche nel futuro non si potrà quindi prescindere dall’usare la soia, in considerazione delle sue peculiarità (tra cui la lisina) resta comunque in primis, e sarà necessario incentivarne la produzione alle condizioni dette. Sarà un oculato uso della formulistica a metterne in luce gli effettivi vantaggi, depurati da eventuali fattori negativi difficilmente eliminabili da altri prodotti candidabili alla sua sostituzione.

 

Foto: soia © Vasilius – Fotolia.com

Silvia Soligon