di Giulio Gavino Usai, Responsabile economico Assalzoo
Dopo 15 anni di continua perdita delle superfici e del raccolto, la questione del mais non può più essere ancora rinviata, perché ne va del futuro della zootecnia e della filiera agroalimentare italiana. In Italia siamo passati dall’autosufficienza produttiva di mais, risalente a circa 15 anni fa, a una dipendenza netta dall’estero che è progressivamente cresciuta nel tempo e che oggi ha superato la soglia critica del 50%, costringendo a importare quantità sempre più elevate di questo cereale.
Quest’anno, inoltre, a causa della siccità, la produzione di mais è crollata in tutta l’Unione Europea, per cui è molto plausibile che la quota di prodotto importato sia destinata a crescere ulteriormente. A ciò si aggiunge il problema della qualità del raccolto: della già ridotta produzione italiana c’è infatti la possibilità, molto concreta, che una percentuale compresa tra il 30% e il 35% possa risultare inutilizzabile per l’alimentazione animale a causa della presenza di micotossine oltre le soglie consentite dalla legge. Una somma di circostanze non positive che rende la situazione alquanto preoccupante, riducendo al minimo storico la disponibilità di mais coltivato nel nostro Paese.
Va ricordato come la situazione era completamente diversa solo qualche decennio fa. Va evidenziato, infatti, che il mais è una coltivazione tradizionale della nostra Penisola da oltre un secolo e la sua produzione era in grado di soddisfare le esigenze dell’intera catena alimentare food&feed. Ora questo livello di sicurezza per l’agroalimentare italiano è praticamente un lontano ricordo. Questo rappresenta un pericolo a livello generale e, in particolare, per le produzioni d’eccellenza e DOP, per le quali sono necessarie quantità minime di materie prime provenienti dagli specifici areali.
È giunto il momento per un paese come l’Italia, che fa dell’agroalimentare una bandiera nel mondo, di invertire la pericolosa tendenza degli ultimi anni. Una dipendenza dall’estero così elevata per la disponibilità di materie prime è un rischio che, come hanno dimostrato i recenti shock del commercio internazionale (prima Covid, poi guerra Ucraina), il sistema-paese non può permettersi per il futuro. Non è più rinviabile l’adozione di ogni misura che possa ridare fiducia alla produzione primaria affinché venga ripresa la coltivazione di un cereale che ha una funzione assolutamente strategica per la zootecnia nazionale comprese – è bene ribadirlo – tutte le produzioni nazionali di eccellenza a marchio tutelato.
Occorre farlo senza ulteriori indugi, partendo dalla realizzazione del Piano Maidicolo Nazionale, adottato due anni fa e mai applicato. Così come è necessario prevedere anche incentivi alla coltivazione mirati in modo specifico alla produzione di mais per uso alimentare e mangimistico, come ad esempio un aiuto accoppiato, oppure premi all’impiego di sementi certificate o alla coltivazione nell’ambito di contratti di filiera. La soluzione ritenuta più adeguata potrà emergere dal confronto di tutti gli attori della filiera con il Ministero delle Politiche Agricole.
Inoltre non si può indugiare ancora su un fattore di competitività irrinunciabile come l’innovazione. Da troppo tempo siamo di fronte ad una inaccettabile ambiguità nei confronti di strumenti straordinari e indispensabili all’ammoderno produttivo che ci vengono messi a disposizione dalla ricerca e in generale dal mondo scientifico. Occorre superare con senso di responsabilità i pregiudizi e avviare una necessaria e urgente sperimentazione in campo, come nel caso delle TEA che rappresentano uno degli strumenti attraverso cui ridare competitività alla coltura maidicola e non solo, attraverso cui è possibile ottenere benefici a livello quantitativo con un aumento delle rese e qualitativo con un miglioramento dal punto di vista sia merceologico che sanitario, ma che rendono possibile anche ridurre l’impiego di fitofarmaci, così come contrastare gli effetti del cambiamento climatico, migliorando le performance complessive dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Infine si deve evitare senza equivoci qualsiasi forma di concorrenza tra l’impiego del mais da parte della filiera food&feed con l’impiego per la produzione energetica, rispettando anche quanto raccomandato a livello comunitario che prevede una chiara scala nella gerarchia di impieghi in cui la priorità va all’uso alimentare e mangimistico, e solo in via subordinata si può valutare quello per la produzione di energia.
Non ci sono dubbi che l’Italia abbia le potenzialità per recuperare ampi margini di produttività, ma occorre uno sforzo congiunto in cui, accanto all’impegno della filiera, vi sia un impegno altrettanto convinto del Governo ed in particolare del Ministero delle Politiche agricole Alimentari e Forestali, affinché venga delineata una politica agricola nazionale che metta al primo posto il tema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari del nostro Paese e sia capace di accompagnare la crescita della filiera agro-zootecnica-alimentare nazionale.
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