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Suinicoltura, investimenti in benessere animale e innovazione tra opportunità di rilancio

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peste suina

L’articolo è tratto dall’intervento di Fabio Del Bravo, responsabile della Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale di Ismea, al workshop online “La competitività della filiera suinicola. Strategie e strumenti a supporto del rilancio della filiera nazionale”, dello scorso 27 novembre organizzato da Ismea nell’ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale

Le misure per la gestione dell’emergenza sanitaria hanno avuto un impatto non trascurabile sul settore agroalimentare italiano nonostante il suo carattere solido e la sua dinamicità, soprattutto del segmento industriale. Per alcune filiere le conseguenze della pandemia di Covid-19 hanno reso ancora più evidenti debolezze di fondo e criticità già note. È il caso, ad esempio, di quella suinicola. La suinicoltura nazionale si caratterizza per la valorizzazione, quasi esclusiva, del suino pesante da cui derivano i circuiti dei prodotti di qualità. E questa è la criticità maggiore, a cui si accompagnano altre note negative, come la necessità di importare per soddisfare il fabbisogno interno di carne di maiale. La mancata diversificazione della produzione suinicola ha mostrato tutti i suoi limiti nella fase del lockdown, con la fuoriuscita degli animali vivi dai circuiti Dop e la loro conseguente svalutazione.

Nei prossimi mesi tutti gli operatori della filiera sono chiamati a concorrere al rilancio del settore, anche sfruttando le opportunità che derivano dalla nuova Politica agricola comune e dalla strategia Farm to Fork per la sostenibilità. Un’occasione unica per affrontare, con maggiore determinazione, i profili critici della filiera. La Pac post-2020 pone diversi obiettivi per il futuro del settore primario. A fronte di tre di questi obiettivi sono inquadrabili le problematiche e gli strumenti per promuovere la suinicoltura.

Prezzi volatili e alti costi di produzione

Un primo obiettivo riguarda la garanzia di un reddito sufficiente e il sostegno alla resilienza del settore agricolo per concorrere alla sicurezza alimentare. Traguardi difficili da raggiungere se si considera che, come accennato, la filiera suinicola italiana dipende in larga misura dall’estero. Dal 2015 al 2019 la quota di autoapprovvigionamento ha sempre superato il 61%. Oggi le importazioni coprono oltre il 40% della disponibilità interna di capi vivi e prodotti derivati (carni e salumi). Questo espone l’Italia all’andamento dei mercati esteri, un aspetto evidente nella dinamica dei prezzi all’origine dei suini pesanti e delle cosce fresche pesanti per i prosciutti Dop. Proprio in coincidenza con il lockdown le quotazioni dell’animale vivo hanno raggiunto il livello più basso dal 2015: 1 euro/kg.

La volatilità dei prezzi mette dunque a rischio la redditività degli allevamenti suinicoli, così come i costi di produzione, caratterizzati da estrema variabilità in funzione delle oscillazioni delle materie prime (mais e soia soprattutto) e dei suini da avviare all’ingrasso. Le voci di spesa maggiori sono proprio l’alimentazione e gli acquisti di magrone: rispettivamente il 44% e 40%, anche se l’Indice Ismea dei prezzi dei mangimi ha subito minime variazioni tra il 2016 e il 2020. Il focus sulla valorizzazione del suino pesante e le norme dei disciplinari dei prodotti certificati influenzano gli indici tecnici relativi all’ingrasso. E questo rende l’Italia meno concorrenziale in Europa: i costi di produzione sono infatti maggiori del 20% della media Ue.

Carni e salumi, un’offerta da diversificare

Rendere la produzione più competitiva e migliorare l’orientamento al mercato è un altro obiettivo per il settore agroalimentare. Nel 2020 il comparto è riuscito a recuperare da una crisi di consumi domestici che perdurava da quattro anni. Per consolidare questa tendenza i produttori dovrebbero essere in grado di sintonizzarsi sulle richieste dei consumatori: dal packaging alla disponibilità di prodotti ‘pronto/cuoci’, dalla sostenibilità alle informazioni sui sistemi di allevamento e le caratteristiche nutrizionali, con l’attenzione alla salute. Le diverse esigenze della domanda possono essere soddisfatte in maniera più efficace, però, solo differenziando l’offerta di carni fresche e salumi.

La nuova politica agricola europea ha posto l’accento sulla sostenibilità e sulla transizione verso un nuovo modello produttivo. Le aziende zootecniche hanno dimostrato una certa sensibilità nei confronti della tutela ambientale, come rilevato da una recente indagine Ismea-Rete rurale nazionale. Due imprenditori su tre hanno già adottato misure con cui controllare la propria ‘impronta’ nel tentativo di risolvere le maggiori problematiche, a cominciare dalla gestione dei reflui. Tra le misure adottate ci sono, ad esempio, gli interventi per migliorare il trattamento, la gestione e la distribuzione degli effluenti, l’introduzione di diete a minor contenuto di azoto e le innovazioni tecniche o tecnologiche. Gli investimenti in questo senso andrebbero incentivati: chi non li ha implementati, infatti, li considera troppo onerosi, in mancanza di risorse finanziare e a fronte di difficoltà nell’accesso al credito, e non efficaci nel breve-medio termine.

Nell’ultimo quinquennio il settore agroalimentare ha conosciuto una stagione molto positiva in tema di esportazioni. Tra i prodotti più dinamici ci sono diverse preparazioni suine: salumi, insaccati, prosciutti cotti. Tutto il segmento ha raggiunto nel 2019 il valore di 1,8 miliardi di euro sui mercati esteri. Nei primi otto mesi dell’anno, considerando quindi l’impatto della pandemia, il valore dei prosciutti disossati è però diminuito del 2,6% mentre quello di salsicce e salami è salito di ben il 14,6%. Fiore all’occhiello e punto di forza della suinicoltura italiana sono le produzioni certificate, espressione del legame con il territorio e riconosciute nella loro eccellenza anche fuori dalla Penisola. Con progetti di comunicazione mirati ai consumatori finali, sia nel mercato domestico che estero, si possono incentivare i consumi consolidando la produzione italiana nei mercati esteri tradizionali e investendo nell’apertura di nuovi sbocchi.

Tutelare biodiversità e rilanciare razze autoctone

Infine, come ultimo obiettivo specifico della Pac 2021-27 si può considerare il riequilibrio della catena di valore, con il miglioramento della posizione degli allevatori e della struttura della filiera stessa. È ancora ampia, infatti, la forbice nella distribuzione del valore tra allevatori e rivenditori. Ad esempio nel 2019 a questi ultimi è andato il 57% del valore della produzione di prosciutto crudo mentre ai primi meno del 12%.

Un’altra disomogeneità si riscontra sulla diffusione a livello geografico della suinicoltura, un’attività quasi completamente concentrata al Nord. Il 77% dei suini sono allevati solo in tre regioni: Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Sui 32 mila allevamenti suinicoli, due su tre sono specializzati nell’attività di ingrasso. Il valore generato da tutti gli allevamenti supera i 3 miliardi di euro, pari al 5,7% del valore della produzione agricola nazionale. Oltre alla fase agricola, che sconta un debole posizionamento nella catena di valore, la filiera si compone della fase industriale, in particolare della seconda trasformazione delle carni. Il valore complessivo del fatturato è di oltre 8 miliardi, pari al 5,6% del totale dell’industria agroalimentare. Al Centro-Sud il settore incide poco e le strutture produttive sono frammentate, tuttavia proprio queste aree possono offrire un’opportunità di rilancio della suinicoltura, con un piano di conservazione della biodiversità e con la valorizzazione delle razze autoctone.

Foto: Pixabay