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Uova, nel 2019 boom acquisti da allevamenti a terra. Effetto lockdown nullo

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Un settore autosufficiente, stabile, con un volume di vendita in crescita nel 2019 e un avvio di anno positivo nonostante l’emergenza CoVid-19. Il comparto delle uova è in buona salute e il suo stato di forma si manterrà anche nei prossimi mesi. Proprio i suoi punti di forza gli hanno permesso di superare indenne gli effetti del lockdown. I dati sulla performance del settore li ha forniti Ismea nel suo ultimo report Tendenze sulle uova da consumo. 

L’Italia, dopo Francia, Germania e Spagna, si conferma tra i maggiori produttori di uova in Europa. Il 45% della produzione, poco meno della media europea, arriva da allevamenti in gabbie arricchite, un tipo di allevamento che si è affermato dopo il bando delle batterie del 2012 ma che in Italia continua a perdere terreno sul fronte delle vendite. L’altra grossa fetta è quella degli allevamenti a terra, pari al 47% (più alto della media europea del 29%), sequita da quelli all’aperto (3% vs 16% europeo) e dal bio, con una stessa quota rispetto all’Europa (5%).

In Veneto e Lombardia i maggiori allevamenti

La produzione italiana ha fatto registrare nel 2019 un volume di 12,3 miliardi di uova, pari a 773 mila tonnellate di prodotto, un livello sostanzialmente stabile rispetto al 2018. In questo settore l’Italia può vantare un grado di autoapprovvigionamento quasi massimo, pari al 98%, in leggero aumento sull’anno precedente. Il comparto fattura 1 miliardo di euro per la parte agricola e 1,5 mld per la parte di trasformazione. La produzione è affidata a 39,8 milioni di galline ovaiole in 2.300 allevamenti (quelli grandi, con oltre mille capi, sono 1300). Veneto e Lombardia, poi Emilia-Romagna, sono le regioni in cui si concentra oltre metà della produzione.

Nonostante l’autosufficienza, seppur marginalmente, l’Italia scambia comunque con l’estero prevalentemente per l’industria di trasformazione. Il saldo della bilancia commerciale è negativo, a -18 mld di euro, ma in miglioramento perché si sono ridotte le importazioni (-11%, soprattutto da Spagna e Polonia) e aumentato l’export (+10%, soprattutto verso Malta). Tuttavia, a fronte di una minore disponibilità di prodotto per via delle grandi dismissioni, nei primi due mesi del 2020, si è reso necessario aumentare l’import (+16%).

Il 10% di uova dal bio

Sul fronte dei consumi si è registrato un livello di 13 kg di consumo di uova procapite, circa 207 l’anno tra consumo diretto e indiretto (in calo dai 210 del 2018). Nonostante il ridimensionamento dei prezzi medi, c’è stato un leggero aumento del valore delle vendite nella Gdo, quasi 796 milioni di euro (era poco meno di 792 nel 2018). Più netta invece la crescita per i volumi, del 2,5%, superando la quota di 3,5 miliardi di uova.

Gli acquisti di uova sono spinti sempre di più da valutazioni etiche, sottolinea Ismea, con l’offerta che continua ad assecondare queste tendenze. Molti consumatori sono più attenti alle modalità di allevamento e gli acquisti riflettono queste valutazioni. L’allevamento a terra è la modalità dalla quale derivano gli acquisti maggiori: 56%, con un aumento del 25% rispetto al 2018. Dagli allevamenti nelle gabbie arricchite arriva il 31% degli acquisti ma con una drastica riduzione (-25%). Le restanti quote sono coperte dal bio (il 10%, in crescita dell’11%) e all’aperto (3% ma in crescita del 3%). 

Stabili da tre anni i prezzi al consumo (differenziale tra uova bio e in gabbia al 119%).

Domanda in calo a maggio

Rispetto a tanti altri comparti, nei mesi di lockdown, le uova sono andate in controtendenza, con risultati molto positivi per le vendite, come per tutti i prodotti confezionati. Ma se per questi l’aumento è stato dell’11% anno su anno, per le uova c’è stato un boom del 22%, per quelle allevate a terra addirittura del 32%. Il picco c’è stato prima di Pasqua: +66%. Il merito va alle caratteristiche del prodotto – basso costo, accessibile, riconosciuto come sano, molto nutriente, alla base di molte preparazioni domestiche – e del comparto stesso. È un mercato autosufficiente, in misura minoritaria coinvolto negli scambi con l’estero e poco integrato con il canale Horeca, pertanto ha potuto evitare i maggiori contraccolpi, legati proprio alle difficoltà logistiche e alla chiusura della ristorazione, che invece hanno penalizzato altri segmenti.

Per il futuro gli operatori sono fiduciosi, anche se il rallentamento della domanda nelle ultime settimane di maggio si sia ripercosso sulle quotazioni. Gli acquisti sono infatti tornati su quote più normali ma le forti dismissioni dei mesi scorsi, con una minore offerta pertanto, garantiranno l’equilibrio sul fronte dei prezzi.

 

Foto: Pixabay

red.