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Vacondio (Federalimentare): “Agricoltura 4.0, accordi internazionali anti-speculazione, più investimenti contro nuovi shock esterni”

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Federalimentare rappresenta, tutela e promuove l’industria italiana degli alimenti e delle bevande, tra i primi settori manifatturieri italiani per fatturato, forte di un’adesione di quasi 7 mila imprese. Ivano Vacondio è il suo presidente. Dal suo osservatorio speciale, in questa intervista con Mangimi & Alimenti, uno sguardo d’insieme sullo scenario economico del comparto della trasformazione alimentare e anche del settore primario. Con le possibili strategie per affrontare e superare le attuali difficoltà che l’Italia sta attraversando.

Gli ultimi dati di Anacer sullo scambio commerciale dei cereali indicano un aumento del deficit rispetto allo scorso anno. In prospettiva il divario potrebbe essere ancora maggiore. Alla luce della situazione internazionale, anche con riferimento alla rottura dei rapporti di fiducia tra i partner commerciali, come rispondere a questo rischio nel medio periodo?

La situazione del mercato cerealicolo è molto complessa e non fa intravedere soluzioni soddisfacenti a breve. Lo scenario mondiale somma ai gravi nodi logistici dei porti ucraini, che non consentono di veicolare le grandi risorse cerealicole di quel Paese schiacciato dalla guerra, problemi strutturali e congiunturali importanti. La produzione mondiale 2022 di grano è prevista in assestamento attorno alla quota di 775 milioni di tonnellate, con un calo di 4 milioni di tonnellate rispetto a quella dell’anno precedente. Le scorte dovrebbero situarsi a quota 267 milioni di tonnellate: il livello più basso degli ultimi sei anni. Mentre la produzione italiana, con la sua fetta di 4 milioni di tonnellate, è prevista anch’essa in assestamento del 2% sull’anno precedente.

I due terzi dell’industria alimentare nazionale sono coinvolti dall’accerchiamento dei costi energetici, che si spalmano orizzontalmente, e delle quotazioni delle commodity alimentari che impattano su oltre 100 miliardi di produzione sui 155 miliardi di fatturato espressi dal settore. Le soluzioni? Occorrono potenziamenti sul piano produttivo e della capacità delle scorte a livello globale. Sono fattori che per la verità si rincorrono da anni, ma si rivelano costantemente inadeguati di fronte alle emergenze, anche per l’accelerazione palpabile dei cambiamenti climatici e l’immancabile impatto della speculazione.

Nonostante le varie crisi, gli ultimi anni hanno comunque fatto segnare ottimi risultati per l’export agroalimentare. L’Italia però è costretta a importare. Come si può mettere in moto un ‘rinascimento’ agricolo che garantisca tutta la filiera?

Il successo dell’export dell’industria alimentare nazionale è certificato dalla spinta messa a segno dal 2007, ultimo anno precedente la grande crisi finanziaria del 2008, al 2021. Ne esce una crescita in valore del +124,4%, a fronte del parallelo +39,5% dell’export totale nel suo complesso. Una forbice di 84,9 punti parla da sola, anche se rimane il forte gap di fondo tra la proiezione esportatrice del settore, pari al 26,3% del proprio fatturato, e il 36% del manifatturiero italiano nel suo complesso.

A fianco, sullo stesso arco di tempo, l’export primario è cresciuto del +68,1%, mentre il saldo agroalimentare è passato, dal “rosso” di 7.548 milioni del 2007, all’attivo di 2,639 milioni del 2021.

Sull’export della trasformazione alimentare, malgrado i grandi spunti espansivi, continuano a pesare due fattori di base. Da un lato, la grande frammentazione del settore (che peraltro ha consentito il presidio del formidabile patrimonio enogastronomico del Paese), dall’altro, i rischi connessi alla necessità di importare una fetta importante delle materie prime necessarie al consumo interno e all’export. In questa chiave, è chiaro che bisogna fare ogni sforzo per migliorare la competitività della filiera e inseguire una sempre maggiore autonomia produttiva agro-zootecnica del Paese. La stessa PAC, dopo i recenti e gravi sviluppi del contesto economico internazionale, ha modificato alcuni riferimenti e lasciato elasticità al maggiore sfruttamento in chiave produttivistica e quantitativa dei terreni. D’altra parte, non si può nemmeno vendere fumo: l’impegno verso l’autonomia è strategico e irrinunciabile, ma rappresenta al contempo un traguardo di tendenza, irraggiungibile in concreto per gli insuperabili problemi strutturali del Paese.

È opportuno ricordare che la nostra debolezza è esplicitata dall’andamento del saldo agroalimentare. Esso infatti, dopo aver raggiunto finalmente l’attivo tre anni fa e aver sfiorato i 3,3 miliardi nel 2020, scendendo poi l’anno scorso a 2,6 miliardi, ora sta virando e tornando in rosso. Gli indizi su questo fronte si sono già concretizzati. Nel gennaio scorso il saldo finale, infatti, ha invertito il segno e registrato un rosso di 425,7 milioni, dopo l’attivo di 111,2 milioni emerso nel gennaio 2021. D’altronde, era di tutta evidenza che il saldo avrebbe risentito pesantemente delle tensioni di prezzo di molte commodity sui mercati internazionali. Non a caso, il saldo specifico del primario ha registrato, a gennaio, un “rosso” di 1.290,4 milioni, superiore del +64,4% rispetto a quello del gennaio 2021.

Quasi sono le sue previsioni sull’inflazione e cosa si può fare per tenere sotto controllo i prezzi, compatibilmente con le pressioni produttive che hanno i produttori alimentari?

L’inflazione è destinata a stabilizzarsi e durare attorno al 6% per tutto l’arco dell’anno in corso. Solo possibili alleggerimenti sostanziali della situazione bellica negli ultimi mesi del 2022 potrebbero ridurne la spinta. D’altra parte, le vendite alimentari hanno evidenziato un calo del -0,5% del tendenziale in valore nel marzo 2021, malgrado la crescita dei prezzi al consumo del comparto, e un calo in parallelo del tendenziale in volume, pari al -6,0%, senza precedenti recenti.

Il calo del “food and beverage” è un campanello di allarme sulla situazione della fascia più debole della popolazione: quella, cioè, per cui esso rappresenta ben più del 19,5% di incidenza media sul paniere di spesa degli italiani calcolato dall’Istat. Il calo della capacità di acquisto viene soprattutto da lì, dai precari, dai piccoli pensionati, dai disoccupati e insomma dalla fascia sofferente, “border line”, colpita più di altri segmenti sociali dal caro-bollette e della forte spinta inflazionistica generale.

Finché le tensioni costi-prezzi non rallentano, l’alleggerimento dell’IVA sui prodotti alimentari di maggiore impatto sul carrello della spesa può rappresentare un ammortizzatore importante. Sappiamo che le risorse pubbliche sono poche: debito e deficit sono sotto forte tensione, dopo i numerosi scostamenti di bilancio effettuati nell’ultimo biennio. Ma i prezzi da pagare in chiave sociale sono ancora più elevati.

Quali sono gli strumenti e le strategie per il medio/lungo periodo per evitare che il settore agroalimentare sia nuovamente sotto scacco di shock esterni?

Maggiori investimenti e utilizzo delle tecnologie più aggiornate nelle campagne, ottimizzazione delle risorse impiegate in chiave produttivistica, nel rispetto dell’ambiente e della sostenibilità generale, utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e di sementi più resistenti ai fenomeni siccitosi sempre più frequenti sono solo alcuni degli strumenti che possono migliorare la situazione. Insomma, agricoltura 4.0. La nostra imprenditoria agricola è preparata: non a caso l’agricoltura italiana è leader in Europa per valore aggiunto. Ma servono anche misure esterne. Come accordi internazionali diretti ad arginare i fenomeni speculativi e al sostegno finanziario dei Paesi più fragili, assieme a una PAC stabilmente orientata alle nuove esigenze ed emergenze.

di Salvatore Patriarca