Ivano Vacondio è il presidente di Federalimentare. La federazione rappresenta, tutela e promuove l’industria italiana degli alimenti e delle bevande, secondo settore manifatturiero che, con un fatturato annuo di oltre 132 miliardi di euro, contribuisce per l’8% al Pil nazionale. Quest’anno il settore vanta esportazioni record che hanno portato il Bel Paese a raggiungere l’autosufficienza nella bilancia commerciale. A Federalimentare aderiscono le associazioni nazionali di categoria, che associano quasi 7.000 imprese produttive. Mangimi & Alimenti ha raccolto il punto di vista di una delle principali organizzazioni del comparto.
Nonostante le difficoltà derivate dalla pandemia, l’Italia ha raggiunto per la prima volta nella storia recente l’autosufficienza nella bilancia commerciale con le esportazioni di cibi e bevande nazionali che hanno superato in valore le importazioni dall’estero. Quali sono state le caratteristiche vincenti del Made in Italy?
Qualità, identità, grande ricchezza e articolazione di offerta. Il target qualitativo delle nostre produzioni è molto alto. In più, il nostro Paese ha un patrimonio, leader nel mondo, di prodotti a denominazione di origine controllata: ben 824 prodotti certificati. Ciò fa non solo immagine, ma consente un’esplorazione impareggiabile, assai stimolante nel mondo delle nostre offerte al consumatore colto e curioso. Con la crescita della capacità di acquisto e col progredire della cultura enogastronomica nel mondo, questo feeling è destinato a crescere.
Le esportazioni agroalimentari Made in Italy del primo semestre del 2021 hanno raggiunto il valore record di 24,81 miliardi con un aumento del 12% rispetto all’anno precedente. Un aumento dell’export momentaneo o pensate di consolidare il trend?
Il trend delle nostre esportazioni è solido e performante. Lo “stress test”, se pur ce ne fosse stato bisogno, c’è stato l’anno scorso, quando le esportazioni dell’industria alimentare in piena pandemia hanno tenuto, con un aumento 2020/19 del +1,0%. E questo mentre le esportazioni manifatturiere complessive del Paese, in parallelo, sono scese del -9,8%. Quest’anno le esportazioni agroalimentari del 1° semestre sfiorano il +12%, Si tratta di un aumento importante, genuino, che non è gonfiato dall’ “effetto rimbalzo” dopo una caduta precedente.
Tra i prodotti che hanno visto un’impennata delle esportazioni c’è una new entry, il caviale. Quali sono i prodotti “emergenti”?
Più che di prodotti emergenti, parlerei di prodotti più performanti. Ricordo così che i DOP e gli IGP hanno un trend di crescita davvero elevato, superiore al pur brillante passo medio del settore alimentare nel suo complesso. Non a caso questo perimetro produttivo raggiunge ormai un’incidenza fatturato export/fatturato totale, ovvero una proiezione export oriented, ben superiore al 50%, mentre l’industria alimentare, anche se in crescita, si fermerà quest’anno al 26%.
Il Covid ha avvicinato gli italiani ai prodotti locali. Si tornerà indietro?
Il consumatore nazionale è selettivo ed esigente, non si è mai allontanato dai prodotti locali: è lui il primo artefice, il trampolino della loro fortuna. Il Covid ha solo accentuato una tendenza solida già in atto. È del tutto improbabile perciò che si tornerà indietro. Il processo di scoperta dei prodotti locali e di nicchia è destinato a crescere.
Un deficit italiano è quello che riguarda la produzione di frumento, mais e soia, indispensabili per l’alimentazione degli animali. Come si può raggiungere l’autosufficienza per questi prodotti?
L’autosufficienza è un traguardo che va perseguito come obiettivo di tendenza. Difficile da raggiungere per i limiti fisiologici del territorio, sia in termini quantitativi, di vere e proprie risorse territoriali, che di loro vocazione specifica. Certo, è possibile migliorare sull’utilizzo del suolo, troppo spesso disordinato, e la produttività agricola incentivata al massimo.
In ogni caso, occorre aumentare l’utilizzo del prodotto nazionale da parte della nostra industria alimentare e ridurre le vulnerabilità connesse al fronte estero. L’offerta agricola nazionale copre attualmente meno del 75% del fabbisogno complessivo della nostra trasformazione: occorre alzare l’asticella.
Rimangono comunque, al fondo, le crescenti incertezze legate ai cambiamenti climatici e alle oscillazioni meteo che investono ormai tutte le latitudini, creando criticità globali.
di Anna Roma