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Vegetali come fabbriche di antitumorali, a permetterlo è l’ingegneria genetica

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Grazie all’ingegneria genetica il mondo vegetale può diventare una fabbrica di farmaci antitumorali. A proporlo sono i biologi dell’Università della California di San Diego (Stai Uniti), che sotto la guida di Stephen Mayfield, direttore del San Diego Center for Algae Biotechnology, sono riusciti a ingegnerizzare l’alga Chlamydomonas reinhardtii per farle produrre delle immunotossine in grado di uccidere linfociti B dalle caratteristiche tumorali. Lo studio che descrive la metodologia utilizzata e l’efficacia delle molecole prodotte in questo modo è stato pubblicato su Pnas.

 

Le immunotossine sono molecole costituite da due porzioni: un anticorpo che riconosce in modo specifico la cellula che deve essere uccisa e la tossina in grado di ucciderla. Quelle prodotte da Mayfield e colleghi sono già utilizzate come farmaci antitumorali, ma gli attuali metodi di sintesi e i costi di produzione nelle cellule di mammifero sono molto elevati. Uno dei maggiori problemi è dovuto al fatto che l’accumulo di queste molecole nella cellula che le sta producendo è tossico per la cellula stessa. Nemmeno i batteri, utilizzati per produrre altre molecole, sono una buona soluzione perché, ha spiegato Mayfield, “non sono in grado di avvolgere queste proteine in queste complesse forme tridimensionali”. Queste alghe, invece, accumulano le immunotossine nel cloroplasto – l’organulo responsabile della fotosintesi – dove non esercitano nessun effetto tossico. Non solo, le molecole prodotte da Chlamydomonas reinhardtii hanno la stessa struttura tridimensionale di quelle che sarebbero prodotte dalle cellule dei mammiferi.

 

Esperimenti condotti su topi in cui sono stati impiantati linfociti B umani dalle caratteristiche tumorali hanno dimostrato che il trattamento con queste immunotossine prolunga l’aspettativa di vita degli animali. “Dato che possiamo sintetizzare lo stesso identico farmaco nelle alghe – ha sottolineato Mayfield – abbiamo la possibilità di ridurne drasticamente il prezzo”. Secondo i biologi in futuro questo metodo potrebbe essere utilizzato per produrre anche proteine ancora più complesse.

Silvia Soligon