La Commissione Scenari dell’ASPA, di cui chi scrive è presidente, ha per compito la costruzione di scenari zootecnici per le principali produzioni nazionali al 2030. Per fare ciò la commissione ha iniziato ad analizzare, in termini quantitativi, ciò che è successo nel nostro Paese negli ultimi 40 anni e questo articolo rappresenta una sintesi dello studio preliminare. In particolare, la commissione ha preso in esame il trend delle produzioni di proteine da allevamenti (carni, latte, uova) e la disponibilità delle stesse per abitante negli ultimi quattro decenni e ha analizzato le relazioni fra questa e due variabili: l’attesa di vita della popolazione e il Pil nazionale.
La figura 1 mostra la crescita della popolazione italiana, con una evidente stasi negli anni ’80-90 del secolo scorso e una repentina ripresa all’inizio di questo secolo, causata dall’intensificarsi dei fenomeni migratori e dall’aumento della vita media dei nostri concittadini.
La figura 2 riporta il ben noto fenomeno della riduzione della consistenza dell’allevamento nazionale, verificatori in particolare nell’ultimo ventennio, in questo caso unificato in UBA; la figura 3 lo straordinario aumento di produttività per UBA allevata in termini di proteine (produttività più che raddoppiata), fenomeno ascrivibile sia al miglioramento genetico che alle migliorate condizioni alimentari, sanitarie e di allevamento, in poche parole, alla tanto vituperata intensivizzazione del comparto zootecnico nazionale. Ciò ha comportato, fino al 2000, un incremento delle disponibilità pro capite, seguito da un livellamento e un leggero calo nell’ultimo quindicennio.
Il sistema mangimistico nazionale ha dato un importante contributo all’incremento della produttività, come si evince dall’analisi del grado in figura 4. Tecnicamente, la relazione matematica trovata è in grado di spiegare il 74% della variabilità del fenomeno e ci rivela che per ogni 1000 ton di mangime in più venduto in Italia, il sistema zootecnico nazionale ha migliorato la produttività, in termini di proteine per UBA, di quasi 6 kg.
Il consumo di proteine animali (nazionali) pro capite è correlato positivamente con l’attesa media di vita della popolazione italiana fino al picco di consumo di 21 kg (realizzatosi nei primi anni 2000), con una riduzione del trend positivo in concomitanza con la diminuzione dei consumi, come evidenziato nella figura 5. In particolare occorre osservare come al passare dai 19 kg ai 21 abbia corrisposto un aumento dell’attesa di vita di 4,5 anni, laddove la regressione da 21 a 19 un aumento di soli 1,5. Non sfugge a chi scrive che si tratta di una correlazione in cui intervengono molti fattori oltre al consumo di carne (miglioramento della sanità, migliori stili di vita, ecc..), ma l’inversione del trend letto da questo punto di vista è comunque degno di nota.
Infine, è chiara la relazione fra l’aumento del consumo di proteine di origine animale e il PIL nazionale (Figura 6). Di particolare evidenza è stato la vertiginosa impennata registrata negli anni 1970-1985, cui è seguito una relazione positiva, ma con minore pendenza, negli anni successivi e un regresso finale legato alla nota crisi che ha investito il Paese nel secondo decennio di questo secolo.
In conclusione, il nostro Paese ha richiesto sempre più proteine animali quale conseguenza di un maggiore benessere economico, e le filiere zootecniche nazionali sono state in grado di tenere il passo, anche in presenza dei ben noti deficit cui si fa fronte con l’importazione di carni (in parte però riesportate sotto forma di trasformati) e di latte (anche in questo caso in parte riesportato nella componente nazionale delle DOP), mentre per uova e carni avicole l’Italia è autosufficiente.
Parte rilevante di questo successo è dovuto alla capacità che ha avuto il sistema mangimistico nazionale a rispondere alle sempre maggiori e più sofisticate esigenze degli allevamenti italiani. Una buona lezione dal passato per il futuro.
Foto: © Sven Grundmann – Fotolia.com
(È possibile consultare le figure menzionate nell’articolo scaricando il pdf della rivista)
Giuseppe Pulina