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Giovanna Parmigiani (Confagricoltura): “La mancanza di coesione rende debole la suinicoltura italiana”

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Il problema della suinicoltura italiana è la frammentarietà del settore. Se i diversi operatori continueranno a restare divisi, la crisi economica potrebbe danneggiare ulteriormente un comparto già in difficoltà. A spiegarlo è Giovanna Parmigiani, Presidente della “Federazione nazionale di prodotto Carni suine” di Confagricoltura, vicepresidente di Confagricoltura Piacenza e titolare dell’Azienda Agricola Parmigiani.

Qual è la situazione dell’economia del suino italiana?
Purtroppo la situazione della suinicoltura Italiana è molto critica. Benché fossimo abituati a situazioni di mercato altalenanti, adesso, ormai da 7-8 anni soffriamo di una violenta e incessante crisi, che ha portato molti allevamenti alla chiusura. Ormai dobbiamo sottostare alle norme sul benessere animale, sulla garanzie alimentari e sull’impatto ambientale, tutti elementi che innalzano i prezzi di produzione senza avere, come controparte, alcun riconoscimento di prezzo.

Si parla spesso di export, ma poco di import: quali sono i pericoli relativi all’importazione di capi zootecnici?
Negli anni siamo diventati sempre più importatori di suinetti dall’estero, concentrandoci invece sull’ingrasso di animali esteri.

Qual è la situazione degli allevamenti di suini in Italia in termini di numeri e di tenuta economica?

Non ho a disposizione i dati aggiornati numerici, ma è possibile affermare che il numero di allevamenti e di riproduttori è calato fortemente.

Si parla spesso di made in Italy: quali sono le caratteristiche principali di un animale allevato e nutrito in Italia?
In Italia ci siamo sempre caratterizzati per un suino vocato alla grande salumeria, quindi un animale alimentato con grande rigore e qualità, secondo disciplinari molto restrittivi, incrementi giornalieri bassi a favore però della qualità della carne, anche se a costi nettamente superiori. I nostri capi sono diversi da quelli prodotti nel resto d’Europa, dove gli animali vengono macellati tre quattro mesi prima e alimentati in modo molto più intensivo, per avere maggiori incrementi di peso in minore tempo, e quindi minori costi.

Quali sono i punti di debolezza della suinicoltura italiana?
La maggiore debolezza della suinicoltura italiana è data dalla frammentarietà del settore. Tutti noi allevatori siamo grandi individualisti e non sappiamo coordinarci e creare strategie tra di noi. Allo stesso tempo, anche il dialogo con gli altri anelli della filiera, macellatori e trasformatori, è spesso discontinuo e poco strutturato, con poche strategie di lungo periodo. Come paese non abbiamo la consapevolezza del valore della nostra filiera e dell’importanza che questa ha. Purtroppo se la crisi continuerà cosi violenta, rischiamo di perdere una ricchezza culturale che difficilmente sarà ricostruibile. Ce ne renderemo conto quando dovremo trasformare le carni estere in salumi. Una cosa è produrre carne per il consumo fresco, altra è trasformare in grandi salumi.

Quali, invece, sono i punti di forza?
Credo che la qualità delle carni dei suini italiani sia impareggiabile. Anche i controlli sanitari in Italia sono molto ferrei e seri e garantiscono al consumatore un ottimo prodotto.

La filiera zootecnia italiana è abbastanza coesa e compatta per sostenere le sfide di un mercato agroalimentare sempre più concorrenziale, sia nel mercato domestico quanto, e ancor più, in quello internazionale? Quali sono le opzioni di sistema da realizzare per rafforzare il made in Italy zootecnico?
Purtroppo uno dei grandi problemi della filiera è proprio la mancanza di coesione. Non si riesce a realizzare progetti di filiera come in Francia, dove è stata creata la Viandre de France. Da ormai alcuni anni si cerca di arrivare alla certificazione di “carne Italia” ma, continuiamo a discuterne tra di noi per arrivare a definirla. E intanto gli allevamenti chiudono. Poi una grossa opportunità l’abbiamo persa quando non c’è stato permesso dalla CEE di etichettare come “italiana” solo la carne “nata, allevata e macellata” in Italia. Attualmente basta che la carne sia macellata e allevata per un brevissimo tempo in Italia per essere definita italiana.

 

Nadia Comerci