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“Quote latte: con la loro abolizione puntare a una politica nazionale più attiva”

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“Capovolgere l’atteggiamento corrente rendendolo più operativo. Aggiungere alla difesa e alla valorizzazione dei prodotti tipici, che rimangono il fulcro del sistema latte, una politica nazionale più attiva e meno affidata alla difesa e alle carte bollate”: solo così la filiera lattiero-casearia italiana potrà tenere il passo anche dopo l’abolizione della quote latte – che avverrà il prossimo primo aprile – e rimanere competitiva a livello internazionale. I consigli arrivano da Dario Casati, economista agrario dell’Università degli Studi di Milano.

Le quote latte sono un tema da prima pagina: multe, proteste…ad oggi qual è il quadro della situazione?

Da quel lontano 1984 in cui furono attivate le quote latte sono trascorsi 31 anni prima che si chiudesse questa fase del mercato lattiero: discussa, contestata e oggi già rimpianta, prima della sua scomparsa. Per capirci: distinguiamo fra il ricorso alle quote e la loro realizzazione in Italia. Le quote in genere sono uno strumento contrario alla logica economica e al buonsenso: lesive della libertà di impresa e contrarie allo sviluppo della produttività, sono tollerate per brevi periodi legati a fatti straordinari e a un sollecito ritorno alla normalità. Nulla a che vedere con quanto si è fatto. Da noi, poi, si è aggiunto il caos della volontà di applicarle “all’italiana”credendo che gli altri partner europei avrebbero accettato di sacrificare la loro produzione a favore delle nostre inadempienze. Le quote sono in prima pagina, ma sarebbe meglio capire che cosa sia accaduto e come il conto sia stato pagato dagli allevatori onesti, che sono la stragrande maggioranza, e dagli ignari contribuenti.

Cosa cambierà dopo il primo aprile?

Dal primo aprile scompare questo meccanismo di protezione, anche se negli ultimi anni si è realizzato un “atterraggio morbido”. Ogni paese produrrà liberamente, immettendo i suoi prodotti sul mercato unico senza il vincolo del tetto produttivo. In teoria tutto è possibile; in realtà, almeno in una prima fase, poco cambierà nei flussi già collaudati, mentre certamente avremo contraccolpi diversi sui prezzi in funzione della tradizionale destinazione della materia prima. Dobbiamo attenderci un periodo di adattamento, fatto di alti e bassi e contrassegnato da una lotta accanita sul piano della competitività ed è a ciò che occorre prepararsi.

Quali sono i punti di debolezza della filiera del latte italiano?

Il principale punto debole è la carenza dell’intera filiera zootecnica, dalla produzione foraggera, all’allevamento bovino, alla produzione di latte e di derivati. Una debolezza con cause remote e recenti a cui è oggettivamente difficile e complesso riparare. Il contesto produttivo italiano è certamente meno propizio del resto d’Europa, ma è anche vero che è mancata una politica nazionale coerente e strategicamente orientata alla produttività di un comparto che rappresenta il cuore del made in Italy alimentare, quello che traina l’export e produce valore aggiunto agricolo.

Quali, invece, i punti di forza?

I punti di forza li troviamo nella produzione di quei formaggi, in gran parte a denominazione protetta, che consentono un’elevata valorizzazione della materia prima e che hanno permesso che il prezzo italiano fosse superiore a quello medio europeo. Senza dimenticare che i due principali assorbono il 40% del latte lavorato; che gli altri prodotti, inclusi i formaggi, un altro 40% e che il latte alimentare, altra anomalia italiana, il restante 20%. La strada maestra della difesa e valorizzazione delle denominazioni è chiara, ma richiede strategie forti e condivise: è grave il rischio di diventare solo trasformatori di materia prima come avviene in gran parte dell’industria manifatturiera italiana.

Diverse sono le attività organizzate a livello convegnistico e seminariale per discutere della problematica delle quote latte, tra scenari attuali e prospettive future. Un esempio è il convegno tenutosi il 13 marzo a Sant’Angelo Lodigiano (LO), “Il futuro del latte in Val Padana. Scenari attuali e prospettive”.

In questi ultimi tempi si moltiplicano le iniziative che affrontano le complesse questioni che attendono la nostra zootecnia da latte. Il convegno citato ha registrato più di 350 partecipanti che si sono occupati in 6 sessioni distinte dei principali temi (Economia del comparto, Genetica e alimentazione, Ambiente e benessere animale, Strutture e tecnologie, Industria lattiero-casearia, Storia della sua evoluzione). Un convegno tecnico e molto animato in cui sono emerse diagnosi e indicazioni per il futuro. Non possiamo dimenticare che negli ultimi due anni il resto dei paesi produttori ha già lavorato parecchio incrementando produzione e produttività in attesa del “via libera” e che occorre recuperare il tempo perduto.

Cosa si dovrebbe fare, da qui ai prossimi cinque anni, per permettere alla filiera lattiero-casearia italiana di essere competitiva a livello internazionale?

Capovolgere l’atteggiamento corrente rendendolo più operativo. Aggiungere alla difesa e alla valorizzazione dei prodotti tipici, che rimangono il fulcro del sistema latte, una politica nazionale più attiva e meno affidata alla difesa e alle carte bollate. Avere una visione strategica del potenziamento e rafforzamento della filiera sul piano della produttività e della redditività dei prodotti ottenuti in Italia. Usare gli strumenti che ci sono “forzandoli” nella direzione della crescita produttiva. Altrimenti si corre il rischio di avere combattuto la battaglia della valorizzazione per consegnare ad altri il valore aggiunto diventando trasformatori e commercianti di prodotti ottenuti altrove. Può andare bene per altri settori economici, in agricoltura sarebbe una resa disastrosa per un settore sano e per l’intero Paese.

Miriam Cesta