L’opposizione alle colture geneticamente modificate è feroce. Ma quante posizioni anti-Ogm sono davvero basate sulla scienza? “Non molte”, sostiene Paul Willis, paleontologo e direttore della RiAus, la Royal Institution of Australia, organizzazione scientifica nazionale non-profit la cui missione è “portare la scienza alla gente e la gente alla scienza”.
Il paleontologo spiega, in un articolo pubblicato su ABC Science, che molte delle posizioni anti-Ogm sono basate sul comune sentire, piuttosto che sulla scienza, e che il meccanismo con cui le colture geneticamente modificate funzionano non è stato volutamente reso chiaro ai più proprio per impedire una piena comprensione del fenomeno. Ed è proprio sulla mancanza di conoscenza che si sono potute far strada le convinzioni secondo cui le culture geneticamente modificate fanno male alla salute.
Un esempio che Willis fa per mettere in evidenza quanto la non conoscenza delle colture gm possa influire sul giudizio negativo che la società ha dell’agricoltura biotech riguarda le birre che contengono dolcificanti estratti da colture geneticamente modificate. La presenza di questi dolcificanti nelle birre, spiega il paleontologo, ha dato la possibilità ai detrattori degli Ogm di pubblicizzare birre “Ogm-free” come migliori e più salutari di quelle contenenti dolcificanti provenienti da colture ingegnerizzate, considerati “ingredienti nocivi”. Eppure, spiega Willis, se le persone conoscessero più a fondo gli Ogm saprebbero che, pur provenendo da colture gm, i dolcificanti da queste estratti non contengono materiale geneticamente modificato, e che sono quindi del tutto paragonabili ai dolcificanti “Ogm-free”.
Lo studioso sottolinea poi che è importante anche vigilare sulla scienza per assicurarsi che la ricerca sugli Ogm venga svolta in modo corretto e senza pregiudizi: e a questo proposito parla dello studio anti-Ogm condotto nel settembre 2012 dal francese Gilles-Eric Séralini, già noto alle cronache per le sue posizioni anti-ogm, secondo cui il consumo del mais NK603 (varietà ingegnerizzata per resistere all’erbicida glifosate e il cui uso a scopo alimentare e mangimistico è stato approvato in diverse nazioni dal 2000) accrescerebbe di molto la mortalità e il rischio di sviluppare tumori. Willis spiega che dai controlli effettuati sul lavoro dei ricercatori francesi dall’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, sono in un secondo momento emerse diverse pecche che rendono lo studio – e i risultati raggiunti – inattendibili: l’impiego di topi che sviluppano spontaneamente tumori, l’uso di un numero troppo esiguo di animali nello studio, il mancato rispetto dei protocolli internazionali per la conduzione degli esperimenti, un’analisi statistica inaffidabile e scarsa precisione nel riportare dati fondamentali per l’attendibilità dei risultati.
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Miriam Cesta