Elettricità e calore sono sempre più puliti, in Italia. La produzione di biogas per la produzione di energia termica ed elettrica è infatti in continua crescita: secondo i dati pubblicati dal Centro ricerche produzioni animali (Crpa) di Reggio Emilia, infatti, il numero di impianti che utilizzano biomasse di origine agro-zootecnica per ricavare elettricità e calore ha conosciuto un incremento del 91% solo negli ultimi 14 mesi, passando da 273 impianti del marzo 2010 a 521 del maggio 2011. Una crescita che lasciava ben sperare già qualche anno fa, quando il numero di strutture è passato da 154 nel 2007 a 273 nel 2010, mettendo in evidenza un incremento del 77% in tre anni.
Di pari passo è anche aumentata la potenza elettrica installata, passando da 49 MW (megawatt) del 2007 a 140 MW del 2010 (+150% in 3 anni), fino ad arrivare a 350 MW con un incremento, in poco più di un anno, pari a un ulteriore 150%.
Il contributo delle diverse Regioni. Tra i 521 impianti identificati dal Crpa in grado di produrre energia termica ed elettrica pulita, 130 sono ancora in costruzione. Tra Nord, Centro e Sud non c’è omogeneità: a trainare il settore sono infatti soprattutto le regioni del Nord. “Prima in classifica” risulta infatti la Lombardia con 210 impianti, seguita da Veneto (78 impianti), Piemonte (72) ed Emilia Romagna (63). Al Centro la situazione è piuttosto diversa, con 8 impianti in Umbria, 6 nelle Marche, 4 nel Lazio e 2 in Abruzzo, mentre al Sud non si superano i 3 impianti per regione (3 in Campania, Basilicata e Calabria, 2 in Puglia). Le isole contribuiscono in modo diverso: mentre in Sicilia non è presente neanche una struttura per la produzione di biogas, la Sardegna dà invece il proprio contributo con 7 impianti.
Impianto che vai, alimentazione che trovi. Quello che viene trasformato in energia termica o elettrica “bio” non è, prima della trasformazione, propriamente “pulito”. Attualmente le deiezioni animali sono la principale fonte degli impianti a biogas, con i loro 130 milioni di tonnellate che ogni anno finiscono nelle strutture. Gli scarti agro-industriali concorrono con 5.000.000 di tonnellate all’anno, gli scarti di macellazione con 1 milione di tonnellate, i fanghi di depurazione con 3,5 milioni, le frazioni organiche dei rifiuti urbani con 10 milioni e i residui colturali con 8,5 milioni, mentre le colture appositamente prodotte per produrre biogas sono quelle provenienti da circa 200.000 ettari.
La maggior parte delle strutture - il 57,9 sul 64% degli impianti censiti - si basa sull’utilizzo di una miscela formata da effluenti zootecnici (tra cui le deiezioni animali), colture dedicate (come mais e sorgo) e scarti agroindustriali. Il 29% degli impianti utilizza invece solo effluenti zootecnici, mentre il rimanente 13% si basa sullo sfruttamento delle colture dedicate e degli scarti agroindustriali.
Alle diverse tipologie di alimentazione corrispondono differenti rese: la maggior parte dell’energia prodotta - ovvero il 70,4% (calcolo effettuato dal Crpa sul 57% della potenza installata censita) - risulta prodotta dagli impianti che trattano il mix di deiezioni, colture dedicate e residui agroindustriali. Il 22,3% dell’energia arriva invece dalle strutture che si basano su colture e sottoprodotti, mentre il rimanente 7,3% proviene dai soli effluenti zootecnici.
Bioenergia da biomasse: le cifre in Italia. Le biomasse in Italia vengono utilizzate, principalmente, per la produzione di energia termica sfruttabile per il riscaldamento domestico e di energia elettrica (a partire da biomasse legnose, residui agro-industriali e rifiuti solidi urbani e da biogas ricavati dai liquami zootecnici, dalla frazione organica dei rifiuti urbani, dai residui dell’industria agroalimentare e da colture dedicate, come mais e sorgo) e per la produzione di biocarburanti.
Come spiegano Vito Pignatelli, Vincenzo Alfano, Angelo Correnti, Anna Chiara Farneti dell’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, in uno studio pubblicato sulla rivista tecnico-scientifica “RS - Rifiuti Solidi”, “in generale nel nostro Paese la produzione di bioenergia ricavata dalle biomasse è una realtà ormai consolidata anche se, attualmente, il contributo complessivo di questa fonte al bilancio energetico nazionale rappresenta solo il 3,5% circa del totale dei consumi finali di energia. La quantità di energia prodotta (pari, nel 2009, a 5,77 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, Mtep) corrisponde a circa il 59% dell’obiettivo fissato per il 2020 dal Piano di Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili (9,82 Mtep), ed è comunque molto minore del potenziale stimato (24-30 Mtep), che potrebbe arrivare a coprire il 13-17% della domanda interna”.
Le colture energetiche. Le biomasse comunemente utilizzate per la produzione di energia termica ed elettrica sono costituite essenzialmente da materiali di scarto, anche se non mancano esempi di utilizzo di coltivazioni agro-forestali dedicate (pioppo a rapida crescita, mais e altre colture annuali per la produzione di biogas). Lo sviluppo di coltivazioni da destinare alla produzione di energia e di biocombustibili pone però il problema di una possibile competizione con le produzioni alimentari, e richiede pertanto un’attenta valutazione del bilancio costi-benefici di ogni specifica “filiera” bioenergetica.
Come si legge nel “Quaderno. Biomasse e bioenergia” pubblicato dall’Enea, “le colture energetiche vengono sostanzialmente ignorate dalle statistiche ufficiali. Se si esclude la filiera del pioppo per produrre cippato da destinare alla combustione, le altre colture annuali utilizzabili per produrre biocarburanti (colza, girasole, soia) o generare biogas (mais, sorgo, triticale) sono indistinguibili dalle analoghe colture alimentari. Ciò che le differenzia è solo l’uso finale, che deve essere opportunamente tracciato altrimenti l’avvio alla filiera alimentare o energetica dipende sostanzialmente dai prezzi di mercato o dagli accordi tra produttori e trasformatori”.
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Miriam Cesta