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Resistenza batterica: un problema di salute pubblica da affrontare con responsabilità

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L’antibioticoresistenza è senza dubbio uno degli argomenti di salute pubblica che in questi ultimi anni ha creato un crescente allarmismo. Le molteplici informazioni a carattere divulgativo, ma anche quelle più prettamente scientifiche, prospettano un futuro nel quale potremmo trovarci in una situazione paragonabile a quella antecedente l’avvento degli antibiotici. In un tale contesto, mantenere un atteggiamento equilibrato e razionale risulta difficile e l’allarmismo spesso prevale.

La resistenza batterica non riguarda solo la medicina umana, bensì tutti i settori in cui si utilizzano gli antibatterici, zootecnico, veterinario e agricolo, elevando questa problematica a livello di salute pubblica generale.

Prima di affrontare gli aspetti preoccupanti dell’antibiotico resistenza è bene sottolineare come nell’ambito delle produzioni zootecniche gli antibatterici abbiano un ruolo fondamentale permettendo di mantenere un adeguato stato di salute degli animali e contenere i costi di produzione a livelli accettabili. La loro introduzione nell’allevamento animale nel periodo successivo alla II guerra mondiale, insieme all’utilizzo degli antiparassitari, ha permesso di rendere accessibili le proteine nobili di origine animale a tutti gli strati sociali, migliorando di conseguenza la salute della popolazione.

L’antibioticoresistenza è un fenomeno naturale di sopravvivenza dei microrganismi che s’innesca alla presenza dei farmaci antibatterici. I batteri che sviluppano delle forme di resistenza al farmaco a cui sono sottoposti, sopravvivono e possono svilupparsi e diffondere ad altre specie animali e all’uomo, o diffondere nell’ambiente. Questi fenomeni si sono verificati sin dall’inizio dell’utilizzo degli antibiotici e sono andati via via aumentando, anche se, fino agli inizi degli anni novanta senza destare grossa preoccupazione perché la ricerca scientifica era sempre stata in grado, di sviluppare nuove molecole antibatteriche capaci di superare le resistenze acquisite.

I batteri hanno delle potenzialità riproduttive enormi, si moltiplicano in tempi molto brevi, nell’ordine delle decine di minuti e hanno molteplici possibilità di acquisire materiale genetico e scambiarlo con altri microrganismi di specie diverse. Tutto ciò può facilitare lo sviluppo di batteri portatori dei geni di resistenza nei confronti degli antibatterici, rendendo inefficace una delle armi più potenti della medicina moderna e ponendo le basi per un ritorno ad un passato remoto in cui si moriva facilmente per patologie quali polmoniti, ferite, malattie veneree, interventi chirurgici, ecc.

E’ importante ricordare che i batteri sono anche i nostri migliori alleati. Pervadono ogni ambito del nostro pianeta, anche quelli considerati più estremi, trasformando ogni elemento e permettendo in ultima analisi la vita. Molte specie sono commensali e risultano indispensabili per un buono stato di salute di tutte le forme di vita superiore. L’equilibrio tra le varie specie batteriche simbiotiche è fondamentale per mantenere lo stato di salute ed il funzionamento di organi, quali ad esempio, l’apparato gastroenterico e la cute.

Alcuni microrganismi possono dar luogo a patologie sia negli animali sia nell’uomo e vengono per questa ragione definiti “zoonotici”. Quindi, se un ceppo batterico con caratteristiche zoonotiche, acquisisse resistenza nei confronti di diversi antibatterici, il trattamento risulterebbe difficile e il pericolo risulterebbe potenziale per tutte le specie viventi sensibili all’azione di tale microrganismo. Inoltre, le informazioni genetiche codificanti la resistenza potranno essere trasferite ad altre specie di batteri, anche commensali, venendo a creare delle potenziali multiresistenze che renderanno vane le terapie quando necessarie.

Alla luce di quanto illustrato la resistenza batterica sembra essere un processo veloce e inesorabile, in grado di sconfiggere velocemente qualsiasi nuova molecola immessa nel mercato, ma per fortuna le caratteristiche vitali dei microrganismi permettono di ridurre ed eliminare i ceppi resistenti abbastanza rapidamente una volta che si elimina la pressione selettiva esercitata dalla presenza dei farmaci antibatterici. Il problema è che nella nostra vita quotidiana siamo ormai abituati a ricorrere costantemente a questi farmaci, ed è difficile attuare dei programmi per un loro uso responsabile e controllato.

Questo quadro che mette le basi per un concetto integrato di salute (umana, veterinaria e ambientale), pone in ordine subordinato la veterinaria e l’ambiente nei confronti della medicina umana, essendoci comprensibilmente una diversa valutazione rischio/beneficio conseguente all’uso degli antibatterici. E’ ovvio che si voglia preservare il più possibile l’efficacia degli antibatterici fondamentali per il trattamento delle gravi patologie in campo umano e per far ciò si è iniziato a valutare una serie di regole comportamentali atte a diminuire o almeno contenere il fenomeno della resistenza batterica.

Per fare ciò uno dei primi passi concreti a livello europeo per quanto concerne il settore veterinario è stato quello di istituire nel 2009, presso l’EMA (Agenzia Europea dei Farmaci) il Sistema Europeo di Sorveglianza sul Consumo degli Antibatterici (ESVAC). Tale organismo ha il compito di raccogliere i dati in merito all’uso degli antibatterici in Europa per quanto concerne il settore veterinario (http://www.ema.europa.eu/docs/en_GB/document_library/Report/2014/10/WC500175671.pdf).

Questi dati sono fondamentali per capire il potenziale sviluppo di resistenza in funzione dell’utilizzo dei farmaci antibatterici in campo veterinario e sono utilizzati anche per la valutazione integrata (la prima di questo genere che vede la collaborazione tra il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie –ECDC – l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare – EFSA – e l’Agenzia Europea per i Medicinali – EMA) relativa al consumo di antibatterici negli animali e nell’uomo e la presenza di resistenza batterica (http://www.efsa.europa.eu/sites/default/files/scientific_output/files/main_documents/4006.pdf).

I due punti cardine nella lotta alla resistenza batterica sono: utilizzare gli antibatterici solo quando necessario e utilizzarli in modo corretto, ovvero, mirato e a dosaggi adeguati. Su queste basi in Europa sono stati emanati diversi documenti di guida per un uso appropriato degli antibiotici e da ultimo recentemente la Commissione ha comunicato ufficialmente (Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea – Serie C 299 dell’11-9-2015) le “Linee guida sull’uso prudente degli antimicrobici in medicina veterinaria” (http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2413_allegato.pdf).

Per quanto concerne la medicina veterinaria le maggiori preoccupazioni arrivano dal mondo dell’allevamento, nel quale i cicli produttivi sono veloci, il numero di animali molto elevato e le condizioni di allevamento richiedono quasi sempre degli interventi terapeutici con farmaci antibatterici. La necessità di trattare un grande numero di animali senza incorrere in costi difficilmente sostenibili obbliga ad utilizzare vie di somministrazione cosiddette “di massa” nelle quali tutti gli animali ricevono il trattamento mediante l’alimento o l’acqua di abbeverata. Questa pratica presuppone un dosaggio del farmaco che spesso non risulta sufficientemente accurato dipendendo dalla quantità di alimento o acqua che l’animale assume e ciò può favorire lo sviluppo di resistenza batterica. Inoltre, i quantitativi di antibiotici utilizzati, che successivamente attraverso le deiezioni degli animali si riversano anche nell’ambiente, sono molto elevati.

A questo punto è bene anche precisare che le preoccupazioni relative alla resistenza batterica non vanno confuse con le problematiche connesse alla potenziale presenza di residui di farmaci antibatterici nelle derrate alimentari. Questo aspetto è preso in considerazione negli studi che vengono effettuati per l’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci veterinari per gli animali produttori di alimenti, ed è garantito dalla definizione del tempo di attesa che deve per legge intercorrere tra l’ultima somministrazione di farmaco e la possibilità di macellare l’animale. Tale tempo garantisce che la presenza di residui negli alimenti di origine animale siano in quantità minime, non pericolose per la nostra salute e non in grado di provocare fenomeni di resistenza.

Da quanto esposto risulta evidente che le maggiori preoccupazioni in merito alla resistenza batterica in ambito zootecnico derivano dalla presenza pressoché costante nei cicli di allevamento di sostanze antibatteriche, spesso utilizzate in modo non sufficientemente corretto. La logica conseguenza è che per contenere la resistenza si miri a ridurre o eliminare questo tipo di somministrazione “di massa” negli allevamenti animali, puntando ad utilizzare in modo mirato ed individuale i farmaci antibatterici solo negli animali effettivamente malati ed usando solo quelle molecole che non riteniamo di estrema importanza per trattare infezioni batteriche particolarmente gravi in medicina umana.

Questa è di fatto la linea che sta seguendo l’UE per quanto concerne gli animali da reddito, una strategia che in prima lettura appare sensata, ma che non è scevra da aspetti negativi che vanno dai maggiori costi di produzione agli aspetti igienico sanitari degli allevamenti. Se da un lato è facile comprendere la logica che muove verso una riduzione dell’utilizzo degli antibatterici negli allevamenti animali e ad un utilizzo più corretto degli stessi, dall’altro risulta evidente che prima bisogna modificare le condizioni di allevamento, aumentando il livello delle condizioni igienico-sanitarie e trovando vie alternative per rendere gli animali meno suscettibili alle infezioni batteriche.

Il legislatore sta correndo ai ripari, pressato da un opinione pubblica spaventata dalle informazioni che sempre più spesso la raggiungono, attua misure volte soprattutto a ridurre l’uso degli antibatterici in campo zootecnico e in questo percorso, purtroppo, trovano poco spazio strategie che possono migliorare l’utilizzo dei farmaci mediante rivisitazione scientifica dei protocolli d’impiego e un attento monitoraggio nell’ambito delle attività di farmacovigilanza e farmacosorveglianza. E’ recente (10 marzo 2016) l’approvazione in prima lettura da parte del Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio (COM 2014 -558) nel quale, dall’articolo 33 all’articolo 40, sono contenute le disposizioni finalizzate al contenimento dell’antibioticoresistenza e all’uso corretto degli antibatterici. Oltre a limitare, ma direi escludere, l’utilizzo di massa degli antibatterici, si fa preciso riferimento anche alla limitazione delle associazioni tra antibatterici, un aspetto fin qui non trattato che richiederebbe una discussione approfondita per poter chiarire i pro e i contro.

A titolo conclusivo è importante sottolineare che la maggior parte degli antibatterici sono in commercio da molti anni e sono utilizzati secondo protocolli molto datati e non riverificati alla luce delle moderne conoscenze in merito alla loro attività, ai meccanismi di sviluppo della resistenza, al profilo farmacocinetico e ai dati di sensibilità specifici per area geografica e specie batterica. Oltre a ciò sarebbe importante verificare ed esplorare con attenzione e criteri scientifici possibili associazioni tra antibatterici che non sempre devono essere viste come foriere di maggiori rischi in termini di espansione della resistenza. Positivamente devono invece essere accolte tutte le indicazioni del legislatore tese a favorire la ricerca e lo sviluppo di nuove molecole antibatteriche, un settore che in questi ultimi decenni ha visto un progressivo rallentamento legato a molteplici fattori di varia natura, scientifica, commerciale e regolatoria.

Foto: © Sergey_Nivens – Fotolia.com

Roberto Villa