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Mais, un settore fra criticità e opportunità

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Il mais è una materia prima strategica per l’intera filiera agroalimentare ed essenziale per l’alimentazione zootecnica. In Italia, nell’arco di un decennio, il settore ha conosciuto un’evoluzione preoccupante: si è passati dall’autosufficienza produttiva a un quadro caratterizzato da un progressivo aumento delle importazioni. Nel 2017 la produzione nazionale ha fatto segnare un livello inferiore ai 6 milioni di tonnellate, in costante calo negli ultimi anni, con un corrispettivo incremento dell’import. La quota di mais proveniente dall’estero si aggira ormai intorno al 50%, con
oltre 5 milioni di tonnellate. Si è dunque ridotta la superficie coltivata dedicata alla produzione maidicola: meno di 600 mila ettari.

Il settore presenta inoltre delle criticità urgenti per tutti i suoi operatori: la bassa redditività per il cerealicoltore e lo stoccatore, il reperimento e il rischio rappresentato dalle micotossine per gli allevatori e il mangimista. Non mancano però le opportunità: dal recupero produttivo per chi coltiva il mais alla valorizzazione della sua qualità anche per mezzo del miglior controllo del contenuto in micotossine.

In campo agricolo la perdita di redditività è associata a diversi fattori. L’aumento degli stress idrici in estate e le alte temperature hanno influito sulla coltivazione del mais, una coltura che necessita di elevati quantitativi di acqua per poter concludere il proprio ciclo colturale. Inoltre, al di là della strutturale contaminazione delle micotossine, il mais è stato poi minacciato dalla diffusione di nuovi organismi infestanti quali la diabrotica.

A queste criticità se ne sono aggiunte altre di natura agrotecnica. Ad esempio il basso grado di innovazioni, lo scarso sostegno alla ricerca e i vincoli posti dalle normative nazionali ed europee al miglioramento genetico. Queste criticità hanno aggravato le condizioni di un settore in cui operano aziende di ridotte dimensioni e che devono sopportare costi elevati. Per sostenere le produzioni è necessario invece che le innovazioni genetiche e quelle agrotecniche siano valorizzate e combinate in modo razionale, ad esempio attraverso migliori tecniche di semina e irrigue, di difesa dai parassiti come la piralide, di lavorazione semplificata dei terreni ecc.

Quella della contaminazione delle micotossine è una criticità sanitaria fra le più preoccupanti. Tra queste in particolare le aflatossine e le fumonisine aggrediscono in modo ricorrente la coltura in Italia. Rispetto a questi microrganismi, assieme a Brasile, India, Romania e Russia, l’Italia è indicato come Paese ad alto rischio.

Nel 2017 nella granella di mais è stata rilevata una contaminazione elevata ma non diffusa di aflatossina B1. Secondo l’indagine condotta dal CREA (Locatelli et al., 2018) l’11% dei campioni analizzati (valori riferiti a lotti comerciali prima della pulitura e della selezione) ha fatto registrare un contenuto di questa aflatossina superiore a 20 μg/kg. Anche la contaminazione di fumonisine è da considerarsi elevata ma non diffusa, con il 37% dei campioni di mais che ne contenevano una quantità superiore a 4000 μg/kg. Queste sono le micotossine più diffuse geograficamente nell’area dedicata alla coltivazione del mais granella. Infine è stata ravvisata una presenza bassa e non diffusa di deossinivalenolo o vomitossina (DON).

In che modo è possibile superare queste criticità e rilanciare la produzione di mais? È la domanda a cui vuol dare una risposta il tavolo tecnico del settore mais, un progetto del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e di Rete Qualità Cereali Plus-Mais coordinato da Carlotta Balconi. Al progetto partecipano, oltre al ministero, gli operatori di filiera, gli assessorati all’agricoltura regionali, il Crea, le organizzazioni agricole, le università Cattolica di Piacenza e di Torino, le associazioni del settore cerealicolo, gli stoccatori consortili e privati, le associazioni del movimento cooperativo e quelle del settore della trasformazione.

Tra le azioni suggerite dagli esperti ci sono il sostegno alle innovazioni, in campo genetico e nei sistemi irrigui, il sostegno alla rete pubblica dei confronti varietali implementata alla valutazione della qualità tecnologica, nutrizionale e sanitaria, la promozione di aggiornati strumenti di mercato, e in prospettiva una premialità per le produzioni in filiera. Infatti, il settore potrebbe trarre beneficio dalla definizione di contratti di filiera, da un’armonizzazione delle normative vigenti e di un Piano maidicolo nazionale.

In tale contesto, l’ambito di produzione del mais dovrebbe infine orientarsi verso le esigenze di impiego della coltura, da semplice commodity a prodotto mirato “specialty”. I possibili, futuri scenari del settore dovrebbero garantire la priorità agli aspetti sanitari, valorizzare la qualità tecnologica e nutrizionale e assicurare la qualità per le filiere tramite disciplinari integrati di produzione.

Amedeo Reyneri