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«Industria 4.0, un’opportunità per l’innovazione nell’agroalimentare italiano»

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Presidente Bonaretti, le chiederei innanzitutto di partire dalla valenza per l’agroalimentare del piano Industria 4.0, promosso dal Governo.

Il Piano Nazionale “Industria 4.0” rappresenta un cambio di passo strategico per rilanciare la competitività delle imprese italiane, grazie agli incentivi fiscali orizzontali. Le potenzialità nel settore agroalimentare sono ampie: dalla disponibilità di sistemi di condivisione e gestione dei dati relativi alla produzione all’efficientamento dei processi, al rilevamento di dati e parametri di produzione, alla tracciabilità dei flussi di prodotto, all’autenticazione del Made in Italy, all’integrazione dei sistemi logistici, in un’ottica di accorciamento delle filiere produttive e maggiore interazione con il territorio.

Come si inserisce in questa dinamica di trasformazione il Cluster AgriFood da lei presieduto?

La strategia del Cluster Agrifood, uno degli otto Cluster Tecnologici Nazionali nati in risposta al Bando MIUR del 2012, è espressa dalla Roadmap per la Ricerca e l’Innovazione, all’interno delle sue 6 Traiettorie Tecnologiche. Declina il piano Industria 4.0 nelle seguenti tematiche chiave: agricoltura di precisione, tracciabilità, autenticità ed integrità di filiera, tecnologie 4.0 per le macchine e impianti alimentari e logistica, fino ad arrivare allo sviluppo di applicazioni ICT-based per configurare nuovi modelli di business delle imprese agricole e agroindustriali in tutti i loro processi.

La strategia del Piano Industria 4.0 prevede il potenziamento dei Cluster Tecnologici “Fabbrica Intelligente” e “Agrifood”: un passo fondamentale per la creazione di una supply chain integrata delle PMI, in grado di rendere più efficaci ed efficienti i processi e aumentare la competitività.

Un tema chiave è sicuramente quello dell’innovazione e la ricerca scientifica. Dove si colloca al momento l’Italia del cibo e verso quale direttrici si deve muovere per garantire la crescita dell’agroalimentare?

L’Industria alimentare italiana è figlia di un know-how tutto italiano: una tradizione consolidata, profondamente radicata sul territorio e intimamente legata alle culture locali, tramandata di generazione in generazione. Fra le testimonianze del profondo legame fra l’Industria alimentare, il territorio e la cultura nazionale c’è la perdurante diffusione dei prodotti a denominazione protetta (DOP, IGP, STG, DOC, DOCG e IGT, pari ad oggi ad oltre 760 unità).

Si tratta anche di un’Industria che investe l’8% del fatturato in ricerca e sviluppo (l’1,8% in R&S formale e informale di prodotti e processi innovativi, oltre il 4% in nuovi impianti, automazione, ICT e logistica e circa il 2% in analisi e controllo di qualità e sicurezza). Un settore quindi che sa coniugare la sapienza, le tradizioni e i localismi del modello alimentare italiano con la costante innovazione di processo e di prodotto. Tutti fattori che hanno reso accessibili le eccellenze agroalimentari italiane ad oltre 1,2 miliardi di consumatori mondiali, che ogni anno comprano un prodotto o una bevanda Made in Italy.

Trent’anni fa l’85% della produzione alimentare italiana in valore era composta dal “tradizionale classico”, mentre il restante 15% era diviso fra “tradizionale evoluto” (ad es., surgelati, sughi pronti, condimenti freschi, verdure di quarta gamma) e “nuovi prodotti” (alimenti ad alto contenuto salutistico e di servizio). Secondo l’Ufficio studi di Federalimentare, oggi circa un quarto del fatturato dell’agroalimentare è costituito proprio da prodotti per i quali l’innovazione, anche incrementale, costituisce un fattore essenziale e che incorpora il maggiore valore aggiunto: si tratta della gamma del cosiddetto tradizionale evoluto e dei veri e propri nuovi prodotti, ossia alimenti ad alto contenuto salutistico e di servizio. Se consideriamo le tendenze in atto nei modelli di consumo alimentare, questa componente di prodotti più “evoluta” è destinata ad aumentare il proprio peso rispetto al cosiddetto alimentare classico, che attualmente costituisce circa due terzi del fatturato totale del settore (65%), mentre il rimanente 10% è rappresentato dai prodotti a denominazione di origine e, in misura molto minore, dai prodotti biologici. Se il mercato interno comincia perciò a dimostrare che la ricerca e l’innovazione sono una delle leve del progresso, quello internazionale ci dice che senza capacità d’innovazione il rischio di finire fuori mercato diventa sempre più concreto, soprattutto per le nostre commodity.

Export e sostegno alla produzione: l’agroalimentare italiano necessita di un aumento di produzione in quasi tutti i passaggi della filiera per sostenere un ambizioso piano di aumento delle esportazioni verso l’estero. Come si riesce a innescare questo circolo virtuoso?

Dopo un anno caratterizzato fino all’ultimo da dinamiche modeste, prive di spinte e segnali significativi, il “food and beverage” nazionale ha chiuso l’ultimo bimestre 2016 con una spinta interessante e abbastanza inattesa. La spinta finale della produzione 2016 è stata ancora insufficiente, tuttavia, a riportare l’attività al livello del 2007, ultimo anno pre-crisi.

Le previsioni per il 2017 ci dicono che il fatturato del settore, dopo quattro anni di stagnazione (2013-16) a quota 132 miliardi (fenomeno senza precedenti sull’arco dell’intero dopoguerra), dovrebbe finalmente ripartire per raggiungere i 134-135 miliardi.

Tale incremento sarà frutto di un aumento vicino all’1% della produzione e da una accelerazione dei prezzi alla produzione attorno al +1,0% in media anno. L’export, in assenza di forti turbative internazionali, dovrebbe accelerare leggermente il trend 2016, per posizionarsi attorno al +5,0%. Le vendite alimentari interne potrebbero assistere a una sostanziale stagnazione in volume, accompagnata da un incremento di circa 2 punti percentuali in valore, in sintonia con l’accelerazione del tasso di inflazione.

In pratica, nel 2017 tutti i principali parametri (produzione, export e vendite interne) dovrebbero mostrare in varia misura, per la prima volta, senza eccezioni, dinamiche espansive. Molto dipenderà comunque dalle misure governative. Eventuali ritocchi IVA, anche limitati, potrebbero infatti “gelare” nuovamente un mercato interno ancora volatile, compromettendo di riflesso l’attesa risalita della produzione. (Fonte: Ufficio Studi Federalimentare)

 

Da qui a cinque anni quali sono i tre progetti-chiave sui quali si concentrerà il Cluster AgriFood?

Sulla base delle priorità individuate nella Roadmap per la Ricerca e l’Innovazione e del contributo attivo del Cluster ai Tavoli Agrifood sulla Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente e Industria 4.0, saranno tre le aree strategiche i progetti chiave:

1. Sviluppo dell’agricoltura di precisione e di infrastrutture per l’intensificazione sostenibile e il miglioramento qualitativo delle produzioni.

2. Tracciabilità per la Safety e il Made in Italy e sviluppo di tecnologie mild/dedicated per migliorare la qualità e la shelf-life degli alimenti.

3. Proxy personalized nutrition: sviluppo di nuove categorie di alimenti destinati a gruppi di popolazione che presentano particolari necessità nutrizionali, spingendo così la ricerca verso la produzione di cibi che, mantenendo elevate caratteristiche sensoriali (piacevolezza al gusto), presentino specifici profili nutrizionali.

Guardando in prospettiva verso gli anni a venire, da dove arriveranno a suo parere la maggiori sorprese in positivo per l’agroalimentare italiano?

Credo che iniziative come Industria 4.0, che riporta l’Industria al centro del dibattito per la crescita del Paese, e l’utilizzo congiunto delle misure varate con la Legge di bilancio 2017, rappresentino una grande opportunità per rinsaldare l’alta propensione all’innovazione delle imprese italiane, così da generare un effetto moltiplicatore positivo su tutto il sistema Paese, incrementando produttività e competitività internazionale.

Le misure fiscali messe in campo rappresentano non solo una leva pervasiva, ma anche trasversale per settore, dimensione d’impresa e regione. Tuttavia esse potranno contribuire alla modernizzazione e alla trasformazione tecnologica del sistema produttivo, solo se saranno affiancate dalle altre disposizioni del Piano Industria 4.0 che non hanno trovato spazio nella Legge di bilancio, in particolare sarà essenziale l’attuazione dei piani per la formazione del capitale umano e la creazione di una vera rete per l’innovazione che faccia da ponte tra la ricerca e il mercato.

(Fonte: Confindustria)

Vito Miraglia